Qualche caro, “carissimo” estinto cui portare dei fiori per abbellirne il sepolcro, pochi giovani, pochissime le proposte convincenti.
La fiera dell’arte di Roma, denominata in maniera forse un po’ troppo pomposa “The road to contemporary art”, ha presentato in maniera estremamente fedele, purtroppo, lo stato delle gallerie della penisola.
Una galleria è anzitutto un negozio ed il suo compito è quello di vendere.
Eppure quelle presenti non sono state neanche in grado (e trattandosi di arte è abbastanza grave) di allestire un minimo di “visual merchandising”. Toni tetri, colori assenti, stand esili, flebili, inesistenti, vuoti. Non si è trattata di una scelta stilistica, né di provocazione, né di un invito alla semplicità grande borghese contro una sorta di aristocratico barocco, ma semplicemente di penosa assenza.
Parlando con i galleristi, poi, la cosa diviene ancor più seria. La ragione di tante scelte è stata quella di cavalcare il marketing altrui, mettendo in primo piano autori con importanti personali o collettive in corso nella capitale, onde sfruttare la notorietà e lo spazio mediatico già raggiunto … con le tasche degli altri. Il problema è che gli artisti in oggetto non erano un granché.
Ma qui, in fondo, non è in discussione la validità del livello dei fautori dell’arte, ma la capacità dei galleristi presenti di farsi promotori di novità.
L’arte non è un barattolo di pomodori pelati, non basta la marca.
L’utente, il fruitore o, diciamola tutta, il cliente, questi pomodori li vuole assaggiare. Se il sapore che gusta è quello della tavola calda, quindi del marketing industriale da furbetti, ecco che risputa il tutto.
Non voglio cadere nel facile tranello di parlare male delle fiere dell’arte; le adoro e ho ben presente la differenza che c’è tra galleria e museo (e odio i musei). Ma proprio parlando di vendita l’uomo d’azienda sa che il consumatore compra se la merce o il servizio, direttamente o indirettamente, per fruizione o adesione ad una “comunità”, soddisfa i suoi bisogni materiali e/o spirituali.
I prodotti artistici messi in vetrina da gran parte delle gallerie presenti al mattatoio di Testaccio non soddisfacevano alcun desiderio, anzi, hanno fatto rattrappire la mia percezione verso la noia ed indirizzato il pensiero alla fuga verso una vicina gelateria.
Ma voglio sforzarmi di vedere il bicchiere mezzo pieno.
Tra il grigiore dominante vi è stato qualche guizzo di speranza. In primis la galleria salernitana di Paola Varrengia, che ha presentato gli energetici tableaux vivant fissati in forma di fotografia da Claudia Rogge. La galleria napoletana Changing Role con il bravissimo artista irakeno Alì Assaf. La giovane Delloro arte contemporanea di Roma che, negli spazi esterni della fiera, ci ha regalato la possente visione dell’opera “Madre” di Sergio Ragalzi. Da Genova la De Simoni arte contemporanea, che ha presentato la fotografa Silvia Noferi.
Una menzione particolare alla galleria romana di Franz Paludetto che, anche se dice sempre le stesse cose, lo fa con la medesima eleganza di sempre.
Guizzi a parte, però, la situazione non è buona e ci sarebbe da mettersi, da parte delle gallerie, una mano sulla coscienza. Così non si trovano nuovi clienti e non si incrementa il mercato. Io stesso, di fronte a questo tipo di offerta, preferirei spendere i miei soldi in una bella vacanza.
Mario Michele Pascale
[exibart]
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Se i frizzi della fiera sono Claudia Rogge, la galleria napoletana Changing Role con Alì Assaf. La giovane Delloro arte contemporanea di Roma che ci avrebbe "regalato" la possente visione dell'opera "Madre" di Sergio Ragalzi, la De Simoni arte contemporanea, che ha presentato la fotografa Silvia Nofer e Paduletto..... STAI MESSO MALE amico mio....!!!
Le Foto dalla Verreggia erano veramente brutte. Una sorta di Lachapelle dei poveri. Ma che fiera hai visto?
la Noferi fa il verso alla Woodmann...con un borghesismo stucchevole e non ha un briciolo della sua intensità.....
L'installazione di Ragalzi della Delloro era veramente notevole, forse l'unica opera degna di appartenere ad una sezione chiamata "Fuori Misura"' come era fantastico lo stand di Mario Mazzoli dedicato a Donato Piccolo. La Verrengia concordo penosa.