La prima stagione di Andor – 12 puntate su Disney+ – si è appena conclusa e c’è una domanda che ricorre in rete: Andor è davvero Star Wars? Beh, prima di spiegarvi perché secondo me Andor, oltre a essere un capolavoro nel suo genere, è l’unico Star Wars che aveva senso vedere nel 2022, vale la pena affrontare questa sedicente questione. Se, dopo cose nauseabonde come Kenobi, anziché chiedersi come sia stato possibile aver sprecato attori del calibro di Ewan Mc Gregor, ci si chiede se Andor sia proprio Star Wars, è il sintomo di un problema sostanziale. Perché cassare Cassian (il protagonista di Andor) per eresia è indecente: come se girare la serie di un franchise dovesse consistere per forza nel ripetere tali e quali certi stilemi, certe atmosfere, certi meccanismi narrativi.
E allora giù coi vari «Dov’è la spensieratezza di Star Wars? – Ma dove sono finiti tutti i droidi e tutti gli alieni? – Dove sono le battaglie spaziali un po’ dandy? – Dove sono la Forza, i jedi e le spade laser?». Questo tipo di critiche, questo modo di pensare secondo cui bisogna anzitutto – prima ancora di godere delle qualità, quando ce ne sono come in questo caso, della novità – paragonare una cosa nuova al passato, “alla tradizione”, e mettersi a contare le mancanze – perché, le mancanze, quando si piazza il passato su un piedistallo divino, sono sempre immense, infinite, incolmabili – ha un nome ben preciso: conservatorismo.
È l’idea alla base della voglia di mettere etichette – Star Wars o non Star Wars? Fantasy o sci-fi? Avventura o cappa e spada? – che deve aver guidato lo stesso Lucas nella demenzialità dei prequel. Che, appunto, lo mettevano nella condizione di dover resuscitare il mito da lui stesso inventato pur di dare ai fan esattamente quello che si aspettavano. E quindi, ecco tanti jedi con le stesse tuniche del vecchio Ben Kenobi, custodi della più profonda saggezza della galassia, che mandano un Anakin – l’eletto – diciottenne, che non ha mai visto una ragazza in vita sua, a fare da guardia del corpo a Natalie Portman (l’amore carnale, l’attaccamento, si sa, è la cassa automatica del lato oscuro).
Gli stessi jedi che, nell’incredibile Episodio 1, riscattano il piccolo Anakin – la profezia dice salverà la galassia – barattandolo con un motorino ma lasciando la dolcissima mamma nelle mani dello schiavista, perché non hanno un altro motorino (tornare a riscattarla il giorno dopo, con un’astronave lusso, per alloggiarla in un hotel lusso su Coruscant non valeva la pena), salvo poi dire al bambino, più potente di qualsiasi altro force user mai visto (sarà Darth Vader, eh), che dentro di lui c’è tanta paura. Per non parlare della faccia di Obi Wan che, sapendo che Anakin sogna tutte le notti la madre morire (la poverina che, dieci anni prima, era stata lasciata su Tatooine, il pianeta criminale, in catene), scopre che, lasciato solo con Natalie Portman, Anakin è andato su Tatooine: «Ma cosa sarà andato a fare lì?», dice Ewan Mc Gregor accarezzandosi una barba che lo fa somigliare tantissimo ad Alec Guinness. Per finire con la più clamorosa coincidenza della storia galattica: quando i jedi scoprono che stanno fabbricando l’esercito più micidiale dell’universo per conto ma a insaputa della Repubblica – l’acconto l’aveva dato un tale morto anni prima – clonando il braccio destro del capo dei cattivi (e niente, i jedi uccideranno il cattivissimo braccio destro ma si metteranno a fare i generali del grande esercito che alla fine, e giustamente, li ammazzerà).
Insomma, c’è più intelligenza, umanità e poesia nel timido, affettuoso, riservato droide di Cassian che in tutti i personaggi della trilogia prequel (più quelli di Solo e Kenobi). E la cosa pazzesca è che il droide non è il solo: tutti i personaggi di Andor, persino le comparse che fanno una soffiata all’Impero o che si pentono d’averla fatta, sono veri, contraddittori, sofferenti, capaci di suscitare empatia. Personaggi bui e mozzafiato come i paesaggi notturni rischiarati da fiumi luminescenti di asteroidi, lacerati dai motori delle astronavi e dai colpi di blaster, trascinati da una trama intricata, innervata, tumultuosa, che connette ogni dettaglio, ogni politica, ogni emozione.
Il titolo è Andor, il protagonista della vicenda è lui, Cassian (Diego Luna). Ma la verità è che questa serie dà forma a un racconto corale come anche il miglior cinema solo raramente riesce a fare. Un racconto complesso, dove il protagonista non è che la punta di una cometa la cui scia non è meno luminosa, anzi. Mon Mothma, gli intrighi di palazzo, i dubbi e le paure di una donna forte, giusta, eppure fragile, che sta provando a costruire da sola una forza militare per combattere il male – quello vero, che si vede: qui l’Impero fa veramente paura, esattamente come le forze che nel nostro mondo, ogni minuto che passa, acquisiscono nuovo vigore, e su cui c’è molto poco da scherzare –, tutto questo è semplicemente eccezionale. Con lei, ogni sguardo, ogni meccanismo, persino quelli che i prigionieri disperati assemblano su Narkina 5, fabbrica-carcere che fa rabbrividire anche l’agghiacciante penitenziario di 2013 La fortezza, aprono nuovi orizzonti, rigenerando l’intero universo nato intorno a Star Wars nell’arco di quasi mezzo secolo di film, libri, fumetti, giochi da tavola. Dando a ogni cosa un senso nuovo, profondo, reale, capace di toccarci come è sacrosanto che ogni opera d’arte – il cinema è o non è la settima arte? – debba fare.
Perché Star Wars è stato il capolavoro del 1977, un’altra epoca, un altro mondo, mentre Andor prova a essere il capolavoro del 2022: per questo cambia tutto, cambia il tono, il tenore, il ritmo. Perché prova a trasformare l’Impero, la Ribellione, la galassia lontana lontana che tutti conosciamo, in un modo per raccontare di noi, di questo tempo, delle nostre ansie – Andor, orfano di un pianeta pulito, semplice, ingenuo, che non si fida di nessuno, in un mondo corrotto e oscuro. Regalandoci delle sequenze e delle musiche splendide, cupe, che per potenza visiva ed emotiva eguagliano l’instant classic Blade Runner 2049.
E allora lasciatemi lanciare una provocazione. Se Star Wars è stata la più divertente, popolare, scanzonata metafora a scala galattica dell’eterna faida tra bene e male, quella dove un gruppo di oppressi scalcagnati ma talentuosi riesce a prevalere sul potentissimo oppressore, allora, forse, nel nostro orrendo 2022, non potrebbe esserci nessun altro Star Wars, se non Andor.
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