Categorie: Film e serie tv

La fine dell’american dream o un nuovo inizio: la Civil War di Alex Garland

di - 31 Maggio 2024

Se chiedessero quale potrebbe essere il wet dream, il guilty pleasure fantapolitico più ambito del nostro tempo, non avremmo dubbi. Molti individui deviati, molte criminal minds, tanti gruppi terroristi radicalizzati darebbero la stessa risposta. Ma anche tanta gente comune, normale, che magari di giorno lavora, cresce figli e va al bowling il mercoledì sera. Molti sceglierebbero di sparare al Presidente degli Stati Uniti d’America. È quello che in fondo ci regala in Civil war il cineasta londinese Alex Garland. Classe 1970, sceneggiatore del capolavoro zombie 28 Giorni Dopo (2002) e regista di due ottimi film di fantascienza, Ex Machina e Annientamento (2014 e 2018) Garland ha lanciato da poco questa pellicola a metà tra un mockumentary e un disaster-war-road-movie che ha scatenato un grande dibattito per la crudezza delle immagini e dei temi che affronta nei suoi 109’ di pellicola.

Civil War, Alex Garland, 2024, still

In un’America sconvolta da una guerra civile condotta dalle milizie delle Western Forces e del New Peoples Army del Nord-Ovest, cartelli dietro cui si celano la California, il Texas e la Florida, un gruppo di fotoreporter, guidato dalla celebre Lee Smith (una splendida Kirsten Dunst) e composto da Joel (Wagner Moura) e da una giovane ragazza, promessa del fotogiornalismo d’assalto, Jessie (Cailee Spaeny) decide di intraprendere il viaggio che porterà i gruppi di miliziani dritti alla conquista della Casa Bianca a Washington (in una trama sempre più House of Cards).

Il film racconta con veloci pennellate un’America non solo devastata dalla guerra, dai combattimenti e dalla violenza di strada, gratuita e disumana. Ma anche dall’indifferenza e dalla pazzia dei suoi stessi attori, trascinati in un gioco che ormai non ha più regole, fronti, divisioni chiare, ideali o interessi da difendere. Violenza pura e ingiustificata. Come sempre avviene negli scenari di guerra.

Civil War, Alex Garland, 2024, still

Ora, mentre i classici disaster movie hanno sempre quella patina di irrealtà (Attaco al Potere, La Notte del Giudizio, La Guerra dei mondi, The Road, World War Z) che ci permette di sprofondare nelle nostre amate poltrone del cinema o del soggiorno, forse per la prima volta, dai tempi di The Day After (film del 1983 che raccontava i sopravvissuti di una per l’epoca possibilissima apocalisse nucleare) Civil War evoca qualcosa di non propriamente irrealizzabile, che ci mette a disagio e ha il potere di spaventarci. Anzi espone senza fronzoli eventi che esprimono un’assoluta prossimità, ben più di una possibilità e con un chiaro realismo nel loro svolgimento. Niente retorica, niente ideologie, nessuna visione del futuro. Guerra e caos.

Civil War, Alex Garland, 2024, still

Non è un caso che i Rammstein, gruppo di metal-rock tedesco, cantassero “We all live in Amerika / this is not a love song / I don’t sing my mother tongue”. Quella americana infatti è la repubblica (moderna) più antica ed è dunque inevitabile che sarà (senza condizionale) la prima ad andare in crisi. A essere giustiziata e affossata come un Ancien Regime qualunque. Le nostre democrazie sono infatti sempre più stanche, corrotte, inefficaci, scavalcate da altri soggetti politici autoritari e player finanziari globali. Il patto tra cittadini, tra istituzioni e gruppi sociali ma anche l’equilibrio tra stati-nazioni nato 80 anni fa sembra sempre più sull’orlo del precipizio. Così il regista Garland si prende la briga di dargli una piccola spinta. Piccola, chirurgica, letale per la nostra quiete di spettatori.

Questa cosa può succedere, anzi succederà. È già successa altrove. L’idea di attraversare quel cancello, di superare i cecchini tra le colonne della White House, di disinnescare batterie SAM poste sul tetto è il desiderio ormai di mezzo mondo. Tagliare la testa al Moloch, decapitare il punto di equilibrio del potere internazionale è oggetto di desiderio comune. E se Toni Negri, il filosofo neomarxista che scrisse l’opera Impero, sosteneva nel 2000 che ormai il potere, quello vero, e cioè il biopotere, è sempre più sfuggente e diffuso in molti punti del globo, vuoi mettere l’eccitazione, l’hype scatenata dall’esecuzione del President of United States of America? Non importano le fattezze, il lessico e lo stile trumpiano. Lui o Biden non farebbero alcuna differenza per delle forze ribelli disposte a sovvertire l’ordine costituito. Soprattutto se poi l’ultimo atto sarà affidato a un boia, una figura scelta non a caso dal regista, figlio dei nuovi, nuovissimi tempi.

Civil War, Alex Garland, 2024, still

Cosa rimane dunque? Quando la violenza diventa generalizzata, quando si è immersi totalmente nelle bocche dell’inferno della guerra, ci sono solo pochi uomini che hanno il potere di testimoniare, di ricordare il passaggio brutale della Storia. Senza retorica e senza fraintendimenti. Una storia che diventa lotta fratricida, insensata e inconcepibile per chi la vive.

Il racconto, così come il cinema, l’immagine e la parola rappresentano l’unica possibilità, l’unica missione, finale e mortale, degna per cui vale la pena sacrificarsi. L’unica pratica attraverso cui è ancora possibile assolvere la propria funzione e la propria essenza di esseri umani. Giusti e razionali. E così le immagini riportate su pellicola, gli scatti che tagliano in due la scena, rendendola immortale, ne fissano l’attimo infinito, aprendo un portale dimensionale dal passato, di scene già viste e riviste in ogni guerra ma che si ripetono da sempre ma con attori sempre nuovi. Per la fotoreporter Lee è necessario “registrare”, senza giudizio, senza aggiungere proprie riflessioni. È un servizio per chi verrà dopo. È questo uno dei segreti della democrazia e della libertà, apparentemente perduti in questo scenario post-apocalittico. Lasciare tracce che altri potranno acquisire, studiare, riflettere e infine giudicare. E salvare la nostra memoria e ridare senso alle nostre vite.

Civil War, Alex Garland, 2024, still

È forse un J’accuse del regista alla stampa di oggi, spesso schierata, che indirizza le emozioni, fomenta gruppi e crea fenomeni dal nulla e li distrugge? Una stampa perennemente serva di altri interessi o di altri bisogni?

Non possiamo sapere come procederà la storia. Quello che sappiamo è che i tempi sono maturi. E Alex Garland e i suoi ragazzi hanno deciso di metterci in guardia. Il cancello è stato divelto. Possiamo entrare.

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