Categorie: Film e serie tv

L’eterno ritorno alle origini: Grand Tour, l’ultimo film di Miguel Gomes

di - 30 Novembre 2024

Con Grand Tour, Miguel Gomes torna dietro alla macchina da presa dopo il film documentario Diarios de Otsoga (2021) per raccontare una storia di finzione, ponendosi sulla scia dell’acclamato Tabu (2012). Ad accompagnare il regista portoghese, già premio per la miglior regia a Cannes 2024, in questa nuova avventura sono due volti già noti del cinema di Gomes: protagonisti della pellicola sono Edward e Molly, interpretati rispettivamente dagli attori Gonçalo Waddington e Crista Alfaiate.

La storia di Grand Tour, come già suggerisce il titolo in primis, è quella di un viaggio: nel gennaio 1918, Molly viaggia da Londra fino alla Birmania per raggiungere il fidanzato Edward, con il quale deve sposarsi dopo sette anni di relazione. Nel momento in cui, però, la nave di Molly sta per approdare a Rangoon (oggi Yangoon, capitale del Paese), Edward decide di fuggire, senza lasciare traccia – o, almeno, così crede. È da questa premessa che si sviluppa la trama della pellicola, divisa con precisione in due capitoli: nel primo lo spettatore segue la fuga di Edward, nel secondo, l’inseguimento attuato da Molly, che riesce a recuperare le tracce del fidanzato e non avrà pace fino a che non riuscirà a trovarlo.

© 2024 – Uma Pedra No Sapato – Vivo film – Shellac Sud – Cinéma Defacto, Molly

Di racconti di inseguimenti e ricerche, la storia del cinema è sicuramente piena, forse satura, si potrebbe dire. È un espediente narrativo in grado di abbracciare ogni genere cinematografico: dal noir al thriller, fino ad arrivare alla commedia rocambolesca; Grand Tour recupera molto di questa tradizione, configurandosi come sintesi di un genere che, nel corso degli anni, è stato declinato sotto vari punti di vista.

© 2024 – Uma Pedra No Sapato – Vivo film – Shellac Sud – Cinéma Defacto Edward

Viene ribaltato il tema della fuga d’amore: a due amanti che decidono di andarsene per vivere un lieto fine insieme si sostituisce una coppia in fuga l’uno dall’altra; ai momenti di malinconia introspettiva che Edward vive, in preda al panico e alla paura, si sussegue la spietata ironia e sfrontatezza di Molly: ogni volta che le viene fatto notare che il fidanzato sta, in realtà, fuggendo da lei, la protagonista esplode in una fragorosa e infantile risata, elemento ben presto diventa cifra e tratto caratterizzante del personaggio. È inevitabile, forse per colpa (o merito) di un “filtro” della storia del cinema italiano che accompagna lo spettatore in sala, come una presenza spettrale, associare il tema della ricerca di una persona scomparsa al cinema di Michelangelo Antonioni.

© 2024 – Uma Pedra No Sapato – Vivo film – Shellac Sud – Cinéma Defacto Edward

C’è molta Avventura (1960) in Grand Tour: lo spostamento spasmodico che non produce risultati, il grande tema dell’incomunicabilità tra protagonista e mondo circostante – sia naturale, che antropologico – sono due elementi che accompagnano il vissuto di Edward e Molly, in modi diversi in base ai comportamenti e alle reazioni dei due protagonisti. La ricerca dell’altro si trasforma ben presto in una ricerca del sé, come scopriva decenni fa il personaggio di Claudia, interpretato da Monica Vitti nella pellicola del regista ferrarese. Si tratta di un vagare, di una ricerca non produce i risultati sperati: se, da una parte, Edward arriva a sondare le ragioni della propria paura, restando comunque preda della propria codardia, Molly finirà per perdere il senno con l’ossessione di trovare l’oggetto del proprio desiderio, come nelle più note e tramandate storie epiche e chanson de geste. In riferimento a questa ossessione malata che Molly arriva a sviluppare, Gomes stesso ha parlato di Moby Dick: una storia in cui prosegue una ricerca, già in partenza fallimentare e impossibile, come quella della protagonista, che non riuscirà mai a rintracciare il fidanzato, nonostante la tenacia (e il tifo del pubblico in sala).

© 2024 – Uma Pedra No Sapato – Vivo film – Shellac Sud – Cinéma Defacto, Molly

Il contatto con una cultura diversa dalla propria, così lontana – geograficamente e spiritualmente – viene sottolineato da un vecchio signore che Edward incontra sul proprio percorso: «L’uomo bianco non comprenderà mai la cultura orientale», dichiara candidamente. Sono gli anni in cui il colonialismo portoghese e inglese si sta avviando a una fase conclusiva, nonostante la fitta presenza europea nelle città asiatiche dove i due fanno tappa. La maggior parte delle incomprensioni con gli abitanti locali deriva dal comunicare in una lingua diversa, ma anche quando la lingua non viene usata come strumento di comunicazione, Edward fatica a comprendere alcune usanze e tradizioni locali («Perché mai un uomo dovrebbe avere tre mogli?!»), coerentemente con il perfetto sguardo coloniale di cui il suo personaggio è intriso. Il colonialismo, soprattutto rapportato al Portogallo, non è un tema banale: basti pensare, a titolo d’esempio, al Monumento alle Scoperte, situato a Lisbona e costruito nel 1960. È indicativo vedere come, solo poco più di sessant’anni fa, il Paese continuasse a rivangare il proprio passato glorioso di conquiste oltreoceano, dal Brasile all’Asia, come se la vera gloria di uno Stato dipendesse da quante porzioni di terra è stato in grado di prendersi con la forza e la violenza.

© 2024 – Uma Pedra No Sapato – Vivo film – Shellac Sud – Cinéma Defacto

Che il cinema di Gomes sia una forma di espressione artistica a stretto contatto con la natura, questa non è una novità. Grand Tour, girato in pellicola 16mm, risente di una tradizione avviata dai primi cineasti e teorici della fotogenia in ambito cinematografico: Jean Epstein, in primis. Epstein, regista francese attivo dagli anni ’20 agli anni ’40 del Novecento, attraverso i suoi scritti, in via teorica e, attraverso le sue pellicole, in modo concreto, sosteneva che la pellicola filmica fosse dotata di una particolare e specifica qualità, quella di esaltare i volti umani e i paesaggi e gli elementi naturali.

Non è un caso che Epstein abbia dedicato alcuni dei suoi lavori, La montagne infidèle (1923) e Finis terrae (1929) proprio agli elementi naturali: fuoco e acqua, nei due film, diventano protagonisti assoluti della storia. Entrambi gli elementi ritornano anche in Grand Tour: mentre il fuoco si fa tramite e portatore di un messaggio di passione in una delle scene più impattanti del film, frapponendosi tra Edward e le tre mogli di un abitante della foresta, l’acqua diventa luogo di perdizione e di pericolo per Molly – due elementi che diventano cifra della lontananza non solo geografica, ma anche ideologica e sentimentale che intercorre tra i due personaggi. Dove la mente umana non arriva, la natura suggerisce ciò che l’occhio non vede.

A proposito di non-vedere, per concludere, Grand Tour è un film che – ancora una volta, recuperando una tradizione che Antonioni ha consacrato – gioca molto sull’invisibile e sull’assenza. Si parla costantemente di personaggi e situazioni non presenti in scena, ma, proprio per questo motivo, finiscono per diventare più concreti che mai – è di Attilio Bertolucci la più che appropriata osservazione Assenza, / più acuta presenza (dalla poesia Assenza contenuta nella raccolta Sirio, Minardi, Parma, 1929). Gomes con il suo ultimo lungometraggio pone lo spettatore davanti ad alcune questioni rilevanti nell’epoca dell’iperrealismo e della tecnologia pervasiva, portandoci a fare i conti con ciò che non vediamo, con ciò che non conosciamo e che, probabilmente, non arriveremo mai a comprendere.

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