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L’ombra di Goya: passioni e ossessioni del grande artista, in un docufilm
Arte moderna
di redazione
Dalla seducente esuberanza della Maja Desnuda, all’oscura efferatezza del Saturno che divora i suoi figli. Nella sua arte così inquieta, mai appagata dal risultato o dall’effetto, Francisco Goya è riuscito a restituire le variegate sfumature dei sentimenti e delle sensazioni umane. Nato nel 1746, in un piccolissimo Comune dell’Aragona, visse nella vivacissima Madrid di Carlo III, soggiornò lungamente a Roma dei grandi Maestri, raggiunse il successo alla corte spagnola e poi se ne allontanò, colpito da varie malattie, sordo e lacerato dalle emicranie, morì nel 1828 e, oggi, è considerato il primo degli artisti moderni. Sulla sua vita e sulle sue opere è incentrato “L’ombra di Goya”, docufilm diretto da José Luis López-Linares e scritto da Jean-Claude Carrière e Cristina Otero Roth. Presentato al 75esimo Festival di Cannes, arriverà il 6, 7 e 8 marzo nelle sale italiane, distribuito da Nexo Digital, per il ciclo “La grande arte al cinema”.
L’artista e il suo tempo
Francisco José de Goya y Lucientes rappresenta uno dei giganti della storia dell’arte. I suoi capolavori, dal Colosso alla Maja vestida, dalla Maja desnuda al 3 maggio 1808, da La famiglia di Carlo IV a Saturno che divora i suoi figli passando per la celebre serie dei Capricci, raccontano una sensibilità straordinaria e una mente in continuo movimento. La fine del Settecento, del resto, non aveva segnato solo la fine di un secolo, ma un passaggio cruciale tra vecchio e nuovo, in bilico tra antiche ossessioni e nuovi indomiti fantasmi. Dopo la Rivoluzione francese, i semi del cambiamento politico e sociale erano stati irrimediabilmente gettati e l’Europa non sarebbe stata più la stessa.
È in questo contesto che si muove il dissacrante pittore spagnolo nel cui immaginario e nelle cui creature fantastiche predominano i temi della rivoluzione, del carnevale e della rivolta all’ordine precostituito. Una capacità speciale di indagare i mondi alla rovescia in cui vengono ribaltate tutte le gerarchie: quelle tra servi e padroni, quelle tra uomini e animali, quelle tra maschile e femminile.
L’ombra di Goya: un docufilm corale
Già regista del film campione d’incassi “Bosch. Il giardino dei sogni”, López-Linares torna a raccontare l’arte e, per questo docufilm dal respiro corale, ha scelto un team di 12 specialisti di tutte le discipline, tra cui Julian Schnabel, che decifreranno la ricca e sinuosa opera del genio spagnolo. Nel corso della narrazione ognuno degli intervistati fa luce a modo suo su un artista dall’incredibile ricchezza espressiva (un otorinolaringoiatra si cimenta, per esempio, nel rintracciare nei quadri le conseguenze della sordità del pittore) avvicinando tra loro i tasselli di un viaggio che esplora la relazione tra cultura ed emozioni, cinema e pittura.
Tra gli esperti e appassionati scelti dal regista del docufilm “L’ombra di Goya”, c’è Jean-Claude Carrière (1931-2021), storico amico e collaboratore di Luis Buñuel, sceneggiatore, scrittore, attore e regista, che López-Linares ha avuto la fortuna di filmare un anno prima della sua scomparsa, ripercorrendo con lui le orme di Goya. Invece di prediligere il percorso cronologico, “L’ombra di Goya” spazia tra opere di periodi diversi con cui l’artista smascherava vizi e ipocrisie della sua epoca, collegate tra loro dalla guida e dalle riflessioni di Jean-Claude Carrière, che individua anche i legami artistici tra il pittore e il regista di “Un chien andalou”, accomunati dall’essere originari dell’Aragona, dalla sordità e dalla predilezione per una narrazione di tipo surrealista.
«Abbiamo passeggiato nei luoghi in cui Goya ha vissuto e dipinto», ha raccontato López-Linares. «Jean-Claude Carrière ha condiviso i suoi pensieri su ciò che questi spazi, queste opere e l’atmosfera che regnava in questi luoghi gli ispiravano via via. La sua conoscenza della materia era enciclopedica e le sue riflessioni vivaci. Come regista, mi comporto come un archeologo sensibile, un passante che propone idee, emozioni nascoste dietro ogni scoperta. Mi piace pensare che faccio film anche per i morti, per i miei genitori e i miei amici, per Chesterton e Miguel de Cervantes, per il mio bisnonno Alfredo che ha combattuto ed è morto a Cienfuegos, per Goya naturalmente e per Jean-Claude Carrière. Spero che da dove si trova ora, questo film possa piacergli. Volevo che lo spettatore percepisse il più fedelmente possibile ciò che la sordità di Goya ha cambiato nella sua vita e nella sua arte. Il nostro approccio è stato quello di cercare di scavare un buco nelle Pitture nere di Goya per vedere cosa c’era dietro».