Lucy Honeychurch (Helena Bonham Carter) è in viaggio in Toscana con la cugina Charlotte (Maggie Smith) quando incontra George Emerson (Julian Sands) che alloggia nella medesima pensione insieme al padre e che si offrono di scambiare le stanze per lasciare alle signore la vista sull’Arno. Durante la vacanza Lucy conosce un po’ George e viene improvvisamente baciata da lui in una gita fuori porta, ma al rientro in Inghilterra si fidanza con Cecyl (Daniel Day Lewis) e cerca di dimenticare la vicenda. Un giorno il giovane Emerson e il padre si trasferiscono nella casa accanto e lei non può più sfuggire al suo sentimento. Lascerà l’intellettuale Cecyl e si abbandonerà all’amore per George, partendo per una luna di miele proprio a Firenze.
Ci si domanda se ancora oggi gli inglesi abbiano un’idea così alta dell’Italia come fonte di ispirazione e di affinamento del gusto. Sicuramente la Toscana rappresenta ancora la culla di una rinascita umanistica e artistica di cui Firenze è il salotto privilegiato. Siamo agli inizi del Novecento, prima delle due guerre mondiali, e la distinzione sociale è ancora marcata, soprattutto perché un viaggio all’estero non sono molti a poterselo permettere.
Tuttavia, nonostante la donna sia ancora ben lontana da un’autonomia intellettuale – e non solo – rispetto alla figura maschile, Lucy rivela già di essere diversa. In primis, vive in campagna, con un rapporto molto orizzontale con il fratello con cui scherza e gioca. In secondo luogo, anche quando suona il pianoforte, strumento per cui rivela un talento importante, riesce a trasmettere una passione che, normalmente, viene inibita non solo in una donna, ma in chiunque appartenga alla società inglese, con i noti caratteri educativi che sopprimono qualsiasi manifestazione emotiva in pubblico.
Lucy appartiene oltretutto a una famiglia legata alla campagna e al patrimonio terriero, per cui il suo legame con Cecyl rappresenta un upgrade sociale che immetterebbe il suo nome all’interno del mondo londinese. Eppure, lei non si cura di questo e preferisce seguire il suo cuore: cercha di mentire a tutti, partendo da George Emerson che si dichiara a lei con uno dei migliori propositi che una donna, anche oggi, vorrebbe sentir pronunciare. Lui dice di amarla, e di voler continuare a farlo coltivando il suo sentire, il suo pensiero e la sua autonomia intellettuale; vuole che lei sia libera di tornare da lui, che possa esprimere la sua passione come quando suona il pianoforte, non la vuole come proprietà da esibire in società, vuole che la loro vita sia colma della medesima passione con cui lui l’ha avvolta in un abbraccio e sorpresa con un bacio nel mezzo della campagna toscana per la prima volta e nella sua casa di famiglia, non appena la rincontra. Insomma, abbiamo un’idea di amore vero, incondizionato e disinteressato, quello che ti lascia la libertà di essere, uomo o donna che tu sia.
Il film è composto da un cast stellare in cui compare un giovanissimo Daniel Day Lewis e dove l’abilità di Maggie Smith ci fa assaporare l’amarezza di aver lasciato scappare un amore importante ed essere restata sola, oltre alla presenza di Judy Dench in un ruolo minore, ovvero una delle icone del cinema britannico di fine Novecento, all’apice della carriera di un regista come Ivory che ha sempre tradotto quel tipo di società, quella inglese, nei sentimenti, nei valori, nelle emozioni e nell’identità.
Tra i riconoscimenti internazionali, Oscar a sceneggiatura non originale, scenografia e costumi, Golden Globe a Maggie Smith, Bafta e altri, e numerosissime nomination tra cui Venezia per la regia.
Helena Bonham Carter, A room with a view, 1985, regia di James Ivory
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