Si è svolta nelle sale dell’IFC di New York, la proiezione inaugurale di Taking Venice, un documentario di Amei Wallach (Louise Bourgeois: The Spider, The Mistress and the Tangerine, Ilya and Emilia Kabakov: Enter Here) che svela la vera storia che si cela dietro le voci secondo cui la Biennale di Venezia del 1964 sarebbe stata truccata dal governo statunitense e da un gruppo di addetti ai lavori per far sì che l’artista prescelto, Robert Rauschenberg, vincesse il Gran Premio. Al ritmo di un film d’azione, il film intreccia una storia di suspense, intrighi, politica, sullo sfondo di feste glamour, dibattiti appassionati sull’arte e, naturalmente, l’arte stessa, e naturalmente Venezia.
Taking Venice si svolge all’apice della Guerra Fredda, quando il governo degli Stati Uniti era determinato a combattere il comunismo con la cultura. La Biennale di Venezia, la mostra d’arte più influente al mondo, divenne terreno di prova. Alice Denney, insider di Washington e amica dei Kennedy, raccomandò Alan Solomon, un ambizioso curatore che si stava facendo notare con l’arte d’avanguardia, per il padiglione degli Stati Uniti. Insieme a Leo Castelli, potente mercante d’arte di New York e vero protagonista dell’opera, i due si imbarcarono in un piano audace per far vincere a Robert Rauschenberg il Premio Internazionale di Pittura.
Sebbene avesse potenziale, Rauschenberg non era ancora stato preso sul serio dall’establishment dell’arte all’inizio degli anni Sessanta. Una sua tecnica, nota come “combine”, fondeva pittura e scultura con oggetti trovati in strada e cultura pop in un modo nuovo e mai visto prima. Con un’abile strategia che avrebbe potuto essere stata scritta a Hollywood, il team americano lasciò che la stampa internazionale gridasse allo scandalo e che Rauschenberg mettesse in discussione la politica del nazionalismo che lo aveva fatto arrivare a Venezia…su aerei militari!
Taking Venice indaga l’impatto in Europa di un tumultuoso cambiamento culturale che ha fissato lo sguardo del mondo dell’arte sul contemporaneo con New York come epicentro. Sullo schermo scorrono lo scrittore del New Yorker Calvin Tomkins, che si occupò della Biennale del 1964, Alice Denney, che ha contribuito a organizzare la mostra statunitense, gli artisti Michelangelo Pistoletto, Christo e altri. In una rara e intima intervista, Jasper Johns racconta il suo rapporto con Robert Rauschenberg nell’arte e nella vita. Attraverso un ricco repertorio di filmati d’archivio, strepitose fotografie e interviste ad artisti, curatori e critici, girate a New York, Londra e alla Biennale di Venezia, Wallach situa l’arte nell’ambito degli eventi mondiali.
La regista, che abbiamo incontrato al cinema durante la proiezione, ha avuto modo di incrociare Rauschenberg in diverse occasioni a New York e nel suo studio di Captiva, in Florida, a partire dalla fine degli anni Settanta, grazie al suo lavoro di giornalista per Newsday e Smithsonian Magazine. Taking Venice illustra come si è sviluppata l’arte di Rauschenberg, esplora la scena artistica che l’ha prodotta, racconta la sua influenza duratura sugli artisti di oggi e analizza l’arte di altri leggendari artisti americani che hanno esposto a Venezia quell’anno, tra cui James Rosenquist, Roy Lichtenstein, Frank Stella, Jim Dine, Claes Oldenburg e John Chamberlain.
Ma cosa successe in pratica? Alla Biennale del 1964, Rauschenberg suscitò rancore, accuse e insulti per varie ragioni: l’aggiunta all’ultimo minuto di un americano alla giuria, il frettoloso trasporto su battello degli enormi dipinti da una mostra allestita presso l’ex consolato americano sul Canal Grande alla sede ufficiale della Biennale, lo spettacolo, la sera prima della decisione della giuria, di un’esibizione trionfale della Merce Cunningham Dance Company con luci, scenografie e costumi di Rauschenberg e musiche di John Cage, tutto ciò fu visto come uno stratagemma per aumentare la visibilità dell’artista. Ciò si aggiunse al sospetto che gli americani fossero ancora una volta colpevoli di spadroneggiare su un altro campo da gioco, quello dell’arte internazionale, con l’accusa che una nuova generazione di mercanti d’arte americani, Leo Castelli e la sua ex moglie Ileana Sonnabend, cospirassero a New York e a Parigi per manipolare il mercato dell’arte in un momento di tensione al culmine della guerra fredda.
A noi sono piaciute le riprese veneziane del trasporto dei dipinti sul Canal Grande, ricreate a colori dalla regista sulla base delle foto in bianco e nero di Ugo Mulas.
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