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Le possibilità del cinema, dai banchi di scuola dello Iuav
Formazione
Secondo la classifica del Censis 2021, lo Iuav è al primo posto per le lauree triennali in arte e design, ma con l’ampliarsi dell’offerta didattica la qualità degli insegnamenti si sta espandendo anche ai corsi di livello superiore.
Ne è testimonianza MOVIES – Moving Images Arts, il percorso formativo post laurea (I livello) dedicato al mondo delle immagini in movimento: più che sulla formazione di figure specialistiche, il master ha come scopo quello di essere spazio di dialogo tra autori/artisti/filmmakers, produttori, curatori e in generale il più ampio spettro di attori che insieme compongono il contesto di una particolare quanto trasversale realtà artistica.
Il master quest’anno vara la sua 3° edizione, dal momento che un anno, quello scorso, non ha permesso lo svolgimento in presenza di un’esperienza di crescita basata sul contatto e la creazione di relazioni. Anche perché, tra i docenti del master, sono molti i nomi di spicco del panorama internazionale, tra cui: Rosa Barba, Eric Baudelaire, Carloni-Franceschetti, Danilo Correale, Mark Lewis, Philippe-Alain Michaud, Peter Welz, Zapruder Filmmakersgroup. Il master collabora inoltre con una rete locale e internazionale di partner che accoglieranno i partecipanti per un’esperienza di tirocinio al termine del programma formativo. Tra questi: De Appel; Film Departement de Centre Pompidou; Centrale Fies; Lugano Arte e Cultura; La Triennale di Milano; Santarcangelo Festival e molti altri.
Maria Malvina Borgherini, docente allo Iuav, ha visto evolvere il suo interesse dalla rappresentazione architettonica a quella dei contenuti artistici in genere, abbracciando l’arte nella sua complessità performativa e insieme lo spirito di questo master. Ne è la responsabile scientifica e per noi ha risposto a qualche domanda.
MOVIES, un master dedicato non al cinema ma alle “immagini in movimento”. Perché e cosa si intende con questa espressione?
«Di solito il cinema richiama a un immaginario legato alla produzione industriale, alla grande distribuzione, alla sala cinematografica intesa come luogo d’intrattenimento… “Immagini in movimento” ha un’attenzione particolare per un contesto più ampio, che comprende il mondo dell’arte contemporanea, le piccole produzioni indipendenti e quindi una serie di spazi dove queste creazioni vengono esposte, come i festival e le mostre. Ci interessa molto connettere giovani autori e curatori con questi spazi di sperimentazione. Quindi cinema d’artista, piuttosto che cinema nel senso più comune del termine».
Allo Iuav si è parlato e si parla di fotografia, di arti visive e teatro, ma questo delle immagini in movimento sembra essere un ambito inedito per la vostra università.
«Delle tematiche affini si trovavano già nella nostra didattica, all’interno del Corso di laurea in Arti visive, per esempio, ma sempre legate allo studio del cinema dal punto di vista storico, della semiotica, dell’antropologia o, ancora, volte a una pratica laboratoriale. Non si era mai dato avvio a un corso che si occupasse invece di immagini in movimento e di relativi spazi di attivazione, soprattutto attraverso il confronto e il contatto con autori, artisti e curatori, che a loro volta dischiudono realtà relazionali con gallerie, musei e festival. L’idea era proprio quella di creare un sistema di relazioni».
Oltre a consolidare la pratica legata alla realizzazione di un progetto, si svela ai corsisti la complessità di una rete fatta di relazioni, intuizioni, sfaccettature: l’arte della relazione.
«Penso alla mia esperienza, a quando per la prima volta (era la fine degli anni ’90) ho visto il Giulio Cesare di Castellucci a Centrale Fies, a Dro. Lì è stato il colpo al cuore per cui ho cominciato a inseguire tutti gli spettacoli della Socìetas [Raffaello Sanzio]. All’epoca consideravo questa attività una passione personale, e invece da lì è iniziata a stratificarsi una tale quantità di cose viste e di relazioni che mi hanno portata fin qui. Penso a quando ho incontrato gli Zapruder al Festival di Sant’Arcangelo (in occasione di una performance che poi è diventata un episodio del film Zeus Machine con cui hanno vinto il premio MAXXI nel 2016): il loro modo di intrecciare mito e contemporaneità, di realizzare un cinema incarnato piuttosto che un teatro incorporeo mi ha incuriosita al punto che ne è nata una collaborazione che continua ancora oggi e che ha coinvolto giovani del master MOVIES in loro nuove produzioni. All’interno del master MOVIES ci proponiamo di esplorare molte delle possibilità che un ambito artistico ampio offre, con riflessioni sulla curatela o sulla progettazione di eventi espositivi, sulla comunicazione e sulla grafica, sul suono e la sua spazializzazione, oltre che ovviamente sugli immaginari dei singoli autori convocati. Philippe-Alain Michaud, ad esempio, s’interessa degli intrecci tra cinema e storia dell’arte (stiamo pubblicando per Quodlibet la prima edizione italiana del suo libro Anime primitive. Figure di celluloide, di peluche, di carta) e dirige il dipartimento di cinema sperimentale del Centre Pompidou: l’esperienza che può condividere con gli studenti del master va quindi dalla storia, alla critica, alla curatela. Grazie a lui ho conosciuto Silvia Lucchesi, fondatrice de “Lo Schermo dell’Arte”, un festival di cinema d’artista dove ho incontrato Danilo Correale, filmmaker italiano che vive negli Stati Uniti. Le diverse competenze che abbiamo raccolto intorno al master MOVIES si configurano come una rete di connessioni tra strutture, artisti e festival cui potranno accedere gli stessi studenti»
Crede che nell’ambito delle immagini in movimento si senta di più la mancanza di un contesto, di una rete, rispetto ad altre discipline artistiche?
«Sì, perché solitamente c’è una preparazione che è più tecnica, legata alla creazione della figura del regista cinematografico, oppure c’è – dal punto di vista delle università e delle accademie – lo studio teorico del cinema. Ma è ancora poco esplorato il ruolo di quella figura, molto interstiziale, che sta tra le arti visive e le arti performative, del filmmaker. Per un artista contemporaneo, avere uno sguardo approfondito su questo mondo può essere significativo. Il fatto poi di poter costruire una piccola realtà che si radichi in un territorio come Venezia è una prospettiva di grande valore: Venezia ospita le Biennali, la Fondazione Pinault, la VAC… ha tutta una serie di realtà museali ed espositive, ma poi la permanenza di artisti (soprattutto giovani) risulta più difficoltosa. Ecco, questa è l’idea: riuscire a creare una piccola comunità di riferimento».
Credo che sia molto significativo che a ricoprire questo ruolo di anello di giunzione tra gli autori di immagini in movimento e il loro contesto, di spazio di dialogo, sia una “università” che recupera così, in qualche modo, un senso originario.
«Da questo punto di vista lo Iuav ha una caratteristica e una storia abbastanza incalzante e positiva: nasce nel 1926 come Istituto Universitario di Architettura di Venezia; apre poi alla pianificazione urbana; ma è solo dal 2001 che amplia la possibilità di interazione anche con le arti visive, il design, la moda e il teatro. Un po’ una rivisitazione dell’idea – come è stata quella del Bauhaus – di riunire le arti, anche per quanto riguarda la loro produzione: è quanto lo Iuav cerca di fare ormai da 20 anni. C’è da dire che la nostra università è inserita in un contesto, quello di Venezia, più che mai favorevole alla fioritura di un discorso artistico di questo tipo e da sempre punto di riferimento culturale a livello mondiale. Sono pochi i docenti che rifiutano di insegnare qui, anche per un breve periodo; e tra gli studenti delle passate edizioni del master c’è chi si è stabilito a Venezia e oggi collabora attivamente con lo Iuav».