I docu-film hanno la stessa dignitĂ delle pellicole dâautore, e possono aggiudicarsi premi importanti come la Palma dâOro, il Leone dâOro o addirittura lâOscar? Secondo Paolo Sorrentino, indignato per la candidatura di Fuocoammare di Gianfranco Rosi come miglior film in lingua straniera agli Oscar 2017, no. «à un bellissimo film, ma andava candidato agli Oscar nella sezione documentari», dichiara il regista, dimenticando forse che Fuocoammare si Ăš giĂ portato a casa lâOrso dâoro a Berlino: come film, non come documentario. La motivazione? «Film eccitante e originale, la giuria Ăš stata travolta dalla compassione. Un film che mette insieme arte e politica e tante sfumature. Ă esattamente quel che significa arte nel modo in cui lo intende la Berlinale. Un libero racconto e immagini di veritĂ che ci racconta quello che succede oggi. Un film urgente, visionario, necessario», ha dichiarato Meryl Streep, presidente della giuria alla Berlinale. CosĂŹ, quello che a Berlino Ăš un film, a Los Angeles potrebbe essere declassato a documentario, al quale Sorrentino avrebbe preferito Indivisibili di Edoardo de Angelis?
Questa interessante querelle svela in realtĂ qualcosa di molto piĂč profondo, che riguarda i film candidati dagli italiani ai festival internazionali, e la loro valutazione da parte delle giurie degli stessi festival. Facciamo un caso recente, che mi ha indotto ad una riflessione sullâargomento: il festival del cinema di Venezia 2016, diretto da Alberto Barbera. Tre i titoli italiani in concorso, di cui due stranamente simili nei contenuti, nella sceneggiatura e nella fattura: Questi giorni di Giuseppe Piccioni e Piuma di Roan Johnson, che raccontano entrambi i turbamenti e le ansie dei giovani adolescenti. Il terzo Ăš Spira mirabilis, il documentario di Massimo DâAnolfi e Martina Parenti, dedicato al racconto dellâimmortalitĂ .
Nessun tema politico, nessun richiamo allâattualitĂ o alla storia, come se ci vergognassimo di Pasolini, De Sica, Scola o Germi, che hanno portato il nostro cinema nel mondo intero. Guai ai film impegnati: nellâItalia di Quo vado dellâesimio Zalone il cinema devâessere leggero, divertente, frizzante per essere apprezzato dai consumatori di telenovelas, quiz a premi o reality. E lo dimostra anche il cantore dellâadolescenza vissuta tra Garbatella e Monteverde Gabriele Muccino, con il suo imbarazzante Lâestate addosso, presentato proprio a Venezia in contemporanea con il festival.
Eppure, tra le pieghe della kermesse veneziana, spunta un piccolo capolavoro: il documentario Lâuomo che non cambiĂČ la storia, girato dal regista Enrico Caria e montato da Fabrizio Campioni, composto unicamente con spezzoni originali di film Luce e presentato nella sezione Giornate degli autori, che ho avuto modo di vedere nella proiezione di Venezia a Roma. Ă la storia del viaggio di Hitler in Italia (Firenze e Roma) nel 1938, raccontato dalla penna finissima del grande archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli, giovane cicerone e guida dâeccellenza dei due dittatori, Adolfo e Benito. I suoi diari, pubblicati con il titolo Il viaggio del Fuhrer in Italia, costituiscono il plot della vicenda storica: «durante quelle giornate â confessa â avrei potuto uccidere entrambi, e cambiare il corso della storia,  ma non lo feci».
Altro che adolescenti in crisi o racconti di immortalitĂ . Qui gli ingredienti per vincere un premio ad un festival ci sono tutti: il rapporto con il fascismo, le complesse relazioni tra intellettuali e potere, lâanalisi di un momento storico con il quale il nostro Paese non ha ancora fatto i conti, una sceneggiatura scritta in maniera brillante e mai pedante o noiosa. Eppure questo magnifico gioiello non ha avuto la fortuna di Fuocoammare: nessuno ha pensato di candidarlo in concorso a Venezia e nelle sale uscirĂ a febbraio 2017. Strano, perchĂ© risponde perfettamente a una delle frasi pronunciate dalla Streep per il premio alla Berlinale: «un film che mette insieme arte e politica e tante sfumature».
Che dire? Quando esce non perdetelo, perchĂ© vi racconta tanto sullâItalia di ieri e di oggi con le sue vigliaccherie e le sue miserie, ma anche perchĂ© il nostro cinema migliore non Ăš quello sotto la luce dei riflettori nazionali, ma si trova, come ha scritto Goffredo Fofi, tra i piccoli film che mostrano ancora la straordinaria qualitĂ di un Paese che era meraviglioso e oggi sembra essere precipitato in un baratro di volgaritĂ e provincialismo.
Ludovico Pratesi