Mentre i cinema italiani traboccano di pubblico che si accalca per vedere Quo Vado di Checco Zalone , impietoso ritratto di un popolo di tendenza spiccatamente masochista che si compiace di vedersi ridotto a tristi e impotenti macchiette, in un cinema romano di 30 posti è in programmazione un piccolo capolavoro, lontano da clamori e pubblicità urlate. Si chiama Bella e Perduta (il titolo vi ricorda qualcosa? È tratto dal Và Pensiero di Verdi ), un film piccolo ma assai intenso girato da un enfant prodige del cinema italiano, Pietro Marcello, nel 2015.
Non lasciatevelo sfuggire, perché racconta l’Italia di oggi, con una grazia e una delicatezza rare, o meglio, come ha scritto Nicola La Gioia su Internazionale.it, fa parte dei film che raccontano l’Italia invisibile, fuori dalle luci dei riflettori, come L’Intervallo, Le Meraviglie o Le Quattro Volte. Con queste pellicole eroiche perché fuori dal coro (ma spesso amate e premiate all’estero) Bella e perduta condivide la capacità di raccontare una storia parzialmente vera con poco, senza però rinunciare alla verità che vede la splendida reggia borbonica di Carditello, persa nelle piane avvelenate della terra dei fuochi, restaurata dopo anni di abbandono ma non aperta al pubblico e sottoposta ai continui assalti di camorristi e delinquenti, sventati dalla passione di Tommaso Cestrone, detto “l’angelo di Carditello”, che muore d’infarto la notte di Natale del 2013, poco dopo aver trovato nella campagna un cucciolo di bufalo.
Fin qui Marcello documenta la realtà, soffermandosi sulla gioia dei casertani quando l’allora ministro dei Beni Culturali Massimo Bray decise di acquisire Carditello: la morte di Tommaso (che nel film interpreta se stesso con grande efficacia) lascia orfano il bufalo Sarchiapone, destinato ad un amico di Cestrone, il pastore Gesuino, che vive a Tuscania, nell’Alto Lazio. E qui compare un Pulcinella, creatura mitologica che svolge la funzione di psicopompo (la guida delle anime dei trapassati verso il regno dei morti), obbedendo ad ordini superiori senza esserne consapevole: sarà lui a prendersi la briga di portare l’animale nell’alto Lazio, in un itinerario meraviglioso nella campagna italiana, attraversata dai due a piedi, accolti durante la notte da un popolo povero ma degno e fiero.
Questa è la parte più poetica del film, che mostra paesaggi naturali e umani intensi e poetici, scaldati dai dialoghi tra Pulcinella e Sarchiapone, “bufalo parlante”, che Gesuino destinerà al macello. In un’atmosfera rarefatta e bucolica, che ricorda i passi migliori delle Fiabe Italiane di Italo Calvino, l’Italia si scrolla di dosso la volgarità di oggi e torna ad essere un luogo magico e autentico, tanto amato dal pubblico straniero, che ritrova la terra dei film di Pier Paolo Pasolini, dei racconti di Gianni Celati, delle fotografie di Luigi Ghirri e anche dell’opera Estate di Gian Maria Tosatti, dove viene ambientata una scena del film.
Con un occhio semplice ma attento, Pietro Marcello dimostra che i film più intensi non hanno bisogno di produzioni milionarie né di battage pubblicitari , ma di una visione precisa e appassionata, com’era quella dei nostri registi più grandi. Cosa volete di più?
Ludovico Pratesi