Dal 23 gennaio 2000 al 29 febbraio 2000 | Architettura e fotografia | Firenze: Palazzo Medici Riccardi

di - 11 Febbraio 2000

Le origini di istituzioni destinate alla formazione disciplinare di professionisti architetti a Firenze risalgono al Settecento. Nel 1784 Pietro Leopoldo trasforma l’Accademia del Disegno, fondata nel XVI secolo, in un istituto pubblico di istruzione artistica organizzandolo in tre sezioni: pittura, scultura e architettura. Quasi un secolo dopo, nel 1873, viene decretata la divisione tra l’Accademia, istituto onorario che riunisce gli accademici, e l’Accademia di Belle Arti, istituto di istruzione. Nel 1930 anche a Firenze viene creata una Regia Scuola Superiore di Architettura autonoma e di livello universitario, che sostituisce il corso di Architettura presso l’Accademia di Belle Arti e sei anni dopo diviene Facoltà universitaria.
Anche se a Firenze è mancata una consapevolezza dell’importanza del mezzo fotografico nell’insegnamento e nello studio dell’architettura come quella dimostrata dall’architetto e storico veneto Pietro Selvatico Estense, che già nel 1852, in un discorso tenuto all’Accademia di Belle Arti di Venezia, ne sottolineava l’importanza sia nel momento della documentazione che in quello del progetto, tuttavia la fotografia ha accompagnato e riflesso le vicende della cultura architettonica fiorentina nella seconda metà del secolo scorso, particolarmente nel periodo della cultura eclettica, e nel Novecento.
Nel nostro secolo la fotografia riflette puntualmente e abbondantemente gli orientamenti e i risultati della dimensione umanistica (e per taluni aspetti intimistica) e antitecnicistica della Scuola Superiore di Architettura e poi della Facoltà universitaria di Architettura dove si formano le personalità dei rappresentanti della cosiddetta “scuola fiorentina”: in particolare il riconoscimento dell’importanza della conoscenza della storia (sia aulica che popolare), il collegamento con le arti figurative contemporanee, gli episodi nodali della costruzione della nuova stazione ferroviaria di S. Maria Novella o della ricostruzione postbellica, i tentativi di collegarsi al panorama culturale nazionale e internazionale di alcuni esponenti delle ultime generazioni.

La mostra presenta 230 fotografie in un percorso che si snoda attraverso sette sezioni:

I Fratelli Alinari e l’architettura a Firenze tra Ottocento e Novecento
La presenza a Firenze di uno dei più importanti stabilimenti fotografici nazionali, quello dei Fratelli Alinari, ha determinato fin dalla seconda metà dell’Ottocento un rapporto privilegiato per ciò che riguarda la documentazione fotografica delle opere edilizie coeve all’attività degli stessi Alinari. Nei repertori fotografici relativi al primo decennio della loro attività, avviata nel 1852, sono presenti solo tre architetture ‘contemporanee’, la Tribuna di Galileo, il Cimitero dei Protestanti e la Chiusa delle Chiane, ma a partire dai primi anni Sessanta, gli Alinari sono coinvolti direttamente nella documentazione della città che si trasforma da cittadina granducale a efficiente capitale di una nuova società borghese.
Al fascino delle nuove opere tecnologiche dell’ingegneria delle costruzioni in ferro e vetro e allo straordinario messaggio riformatore che dovevano comunicare queste imprese nate come affermazione di una cultura architettonica capace di sue autonomie creative, si deve la documentazione degli edifici come il mercato di S. Lorenzo, opera del Mengoni o il Tepidario dell’Orto Botanico, ultimato nel 1879 su progetto del Roster. Così come la lunga querelle per il completamento in stile neogotico della facciata di Santa Maria del Fiore, che vedrà la definitiva scelta del progetto dell’architetto De Fabris, troverà coinvolti anche gli Alinari fin dalle prime proposte progettuali del 1867.
Una puntuale interpretazione fotografica,‘stile’ Alinari, dei principali eventi architettonici che videro la loro realizzazione a Firenze tra Ottocento e Novecento, rimanendo fedeli a questa ‘missione’ anche negli anni successivi, quando ancora negli anni Trenta essi fotografano in tutti i dettagli due delle principali opere edilizie realizzate nel Novecento a Firenze, lo Stadio e la nuova Stazione di S. Maria Novella.

La raccolta di fotografie come archivio di conoscenza
Non è raro incontrare, negli archivi degli architetti ottocenteschi, raccolte di fotografie costituite da immagini di opere proprie e di colleghi, o formate durante viaggi. In un’epoca in cui le illustrazioni fotografiche nei libri sono ancora poche, la raccolta di fotografie rappresenta un importante supporto per la formazione culturale dell’architetto e per il suo lavoro.
Questo ruolo della fotografia è testimoniato dalle raccolte di Giuseppe Poggi e di Giuseppe Castellazzi. Castellazzi, in particolare, acquistò molte immagini durante i suoi viaggi: tra queste, il nucleo che riguarda i monumenti turchi ed egiziani servì a preparare i Ricordi di architettura orientale (Venezia 1871-1874).
Oltre che per studio, la fotografia viene presto utilizzata anche per costituire cataloghi di forme e decorazioni al diretto servizio della progettazione. Questo spirito anima il repertorio di immagini raccolto da Adolfo Coppedè, serbatoio di suggestioni che confluiscono nel suo eclettico linguaggio architettonico.
Contemporaneamente, la fotografia diventa un ausilio critico irrinunciabile per la storia dell’arte e dell’architettura. Qui si presenta un piccolo saggio della raccolta di Roberto Papini, che comprende moltissime immagini originali di opere dei maestri dell’architettura moderna.
Nell’archivio di Pietro Aranguren, infine, l’istinto del collezionista fa confluire materiali di ogni tipo indipendentemente dal soggetto, anche se sempre con un occhio di riguardo per Firenze.

La fotografia come lettura critica: architetture, città, paesaggi
Nelle mani dell’architetto la fotocamera è mezzo per indagare la realtà e insieme strumento critico.
Talvolta l’indagine fotografica è diretta a studi specifici, come quelli sulle cupole condotti da Piero Sanpaolesi. Più spesso le letture sono meno sistematiche ma non meno fertili. Quelle condotte da Giovanni Michelucci rivelano il suo straordinario senso dell’immagine. Le città e il paesaggio sono, per vocazione, i soggetti preferiti dall’architetto fotografo.
Le immagini di Edoardo Detti e di Riccardo Gizdulich colgono gli spazi urbani e la campagna mettendone in luce le strutture e le leggi di trasformazione.
Da mineralogista, Francesco Rodolico indaga invece gli aspetti naturalistici del paesaggio; tuttavia le sue immagini non trascurano mai il rapporto tra natura e presenza umana. Dei suoi scatti Rodolico si servirà per illustrare Le pietre delle città d’Italia (1953) e Il paesaggio fiorentino (1959).
Il gusto per la casa colonica costituisce uno dei nodi più vitali della cultura architettonica toscana. A questo tema si interessano, oltre che Michelucci, Gizdulich e Detti, anche Pier Niccolò Berardi, Nello Baroni e Lorenzo Gori Montanelli, che nel 1964 raccoglie 132 fotografie nel volume Architettura rurale in Toscana. Le loro immagini ritraggono architetture senza tempo, dove la funzionalità degli spazi, il rigore delle forme, l’impiego dei materiali costituiscono altrettanti stimoli per la messa a punto di un linguaggio che oscillerà a lungo tra razionalismo e vernacolare.

La fotografia nel processo di progettazione e di realizzazione dell’opera di architettura
Nell’800 la collezione di fotografie come raccolta di esempi cui riferirsi nel processo di progettazione sostituisce rapidamente le raccolte di disegni che dal Vasari in poi erano sempre state importanti per l’architetto. La fotografia può essere utilizzata come base di rilievi metrici riportandovi sopra manualmente le misure che interessano, per tracciarvi sopra un progetto, direttamente o per ricalco, per fotomontarvi gli elementi di integrazione o di completamento progettati. Le possibilità del fotomontaggio vengono sviluppate particolarmente nel periodo dell’eclettismo, perché sono congeniali all’idea di architettura come arte combinatoria.
Nel ‘900 sempre più spesso si supera la tradizionale riverenza per i tradizionali mezzi di espressione del progetto architettonico, il disegno a matita o a penna, e si sperimentano sempre più liberamente e diffusamente le possibilità della fotografia.
La mostra illustra esempi dell’uso della fotografia nel processo di progettazione da parte di architetti quali Raffaello Fagnoni, Nello Baroni, Riccardo Gizdulich, Leonardo Savioli, Leonardo Ricci, Edoardo Detti.
Peculiare è il caso della nuova stazione ferroviaria di S. Maria Novella a Firenze, dove la fotografia viene a costituire elemento di qualificazione degli interni, moderno ornamento, in forma di serie di stampe fotografiche di architetture e città italiane, riprese dagli stessi architetti del Gruppo Toscano che progetta l’edificio, accostate una all’altra a formare lunghi pannelli a nastro orizzontale nelle sale di aspetto.

La fotografia e il restauro dell’architettura
Fin dalla prima metà dell’Ottocento la fotografia, grazie alle sue doti di precisione ed oggettività, viene impiegata per documentare restauri e trasformazioni di cui sono oggetto singoli monumenti e interi brani urbani, o addirittura come strumento per la progettazione degli interventi. Giuseppe Poggi se ne serve, ad esempio, per fissare l’aspetto di alcune delle porte trecentesche di Firenze prima delle demolizioni previste dal suo piano, mentre Giuseppe Castellazzi appunta su una stampa fotografica gli interventi pensati per Orsanmichele a Firenze.
La fotocamera consente di registrare ogni particolare che colpisca l’occhio del restauratore, e permette di conservare una memoria precisa di tutto ciò che il monumento rivela durante lo svolgimento dei lavori.
Spesso si tratta di semplici appunti fotografici, come quelli colti da Piero Sanpaolesi nel corso della sua lunga carriera. In altri casi le possibilità offerte dalla fotografia sono sfruttate per operazioni altrimenti impensabili.
La vicenda del ponte a Santa Trìnita, distrutto delle mine tedesche nell’agosto del 1944, rappresenta un caso tra i più eccezionali. La forma esatta del ponte e delle sue arcate infatti viene ricreata tramite l’impiego di procedimenti fotogrammetrici applicati a fotografie precedenti la distruzione. Una larghissima serie di immagini, scattate da Riccardo Gizdulich, descrive inoltre in modo puntuale tutta la progressione dei lavori, rivelando al contempo la sensibilità estetica del restauratore.

La fotografia come mezzo di documentazione e promozione della propria opera
In tutti i tempi l’architetto si è posto il problema di documentare e dimostrare le proprie opere. Anche in questo caso la fotografia soppianta, a partire dalla metà del secolo scorso, i mezzi grafici: disegno, incisione ecc.
Più economica, più rapida, più sicura, più efficace, più facilmente riproducibile in qualsivoglia numero di copie, la fotografia è veicolo sempre più indispensabile di autopromozione dell’architetto o di pubblicità dell’opera realizzata da parte del committente. Per l’Ottocento emblematico è il caso di Giuseppe Poggi che ha utilizzato con ampiezza la fotografia, spesso commissionata proprio agli Alinari, per documentare e far conoscere le sue opere.
Nel Novecento sempre più spesso si stabiliscono rapporti privilegiati tra un architetto e un determinato fotografo professionista. A Firenze Ferdinando Barsotti è forse colui che ha saputo stabilire più ampi e più profondi e stabili legami con gli architetti, da Raffaello Fagnoni, il quale gli demanda completamente il compito di fotografare i suoi lavori arrivando a stabilire con lui un rapporto di amicizia, a Giovanni Michelucci, a Nello Baroni, a Riccardo Gizdulich, a Giuseppe Gori e tanti altri.
Giovanni Michelucci ha fatto ricorso a diversi fotografi da Barsotti a Gameliel, a Bazzechi, a Coppitz.
Nel secondo dopoguerra paradigmatico è il rapporto di Ivo Bazzechi con Leonardo Savioli, di cui interpreta con perizia tecnica le indicazioni tematiche e formali.

L’Architetto fotografo
Nel 1938, ripercorrendo il suo impegno di fotografo, Giuseppe Pagano si autodefinisce “cacciatore di immagini”.
Nelle fotografie riprese per sua passione personale, Giovanni Michelucci rivela un gusto visivo assolutamente peculiare, ricco peraltro di echi culturali molteplici finemente filtrati.
A parte le fotografie di architetture e città come appunto di viaggio di studio o di piacere (valgano gli esempi di Nello
Baroni, Leonardo Lusanna e Pier Niccolò Berardi), temi che emergono e ricorrono nella produzione fotografica degli architetti e dei docenti dell’ambito fiorentino sono soprattutto il paesaggio, per il quale si segnalano le immagini di Riccardo Gizdulich e Edoardo Detti, e l’architettura della casa rurale.
Un piccolo ma significativo nucleo di questa sezione della mostra è costituito da ritratti fotografici di architetti contemporanei realizzati, in occasione della loro presenza a Firenze, da architetti fiorentini. Detti ha fotografato Aalto, Breuer e Quaroni; Koenig ha fotografato Ricci; Gizdulich ha fotografato Wright.
Architetti e studiosi dell’architettura che hanno insegnato a lungo nella Facoltà di Architettura fiorentina, segnandone fortemente il carattere, non hanno mancato di lasciare documenti della loro vitalità anche nella dimensione della fotografia come testimonianza del loro tempo. Francesco Rodolico, Nello Baroni, Edoardo Detti, Giuseppe Marchini, hanno fotografato aspetti della vita delle città italiane durante la seconda guerra mondiale.

Ufficio stampa Alinari: Tel +39(055)2395207
http://www.alinari.it
email: rosa@alinari.it

[exibart]

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