Plasmati dalla relazione vivente di tempo, spazio e storia dell’uomo, i luoghi possono essere edificati e abitati davvero solo da chi, comprendendone e assumendone la storia, ne arriva a governare il tempo; anche per questa ragione in molti luoghi del Mediterraneo, a Gela come ad Atene ‘le forme della Modernità’ emergono effimere e come straniere per ridursi, spesso e in breve tempo, a ruderi ridicoli, a relitti informi e senza gloria. Qui sono sempre tornato, malgrado i morti ammazzati per le strade dalle faide mafiose, malgrado la scoperta del petrolio, malgrado i fatti e i misfatti e le cronache vere e le fantasie che hanno fatto di Gela un’immagine dell’Inferno, un luogo comune del vergognoso meridione d’Italia. Malgrado tutto questo e proprio per tutto questo, le trame sensibili che nella gioia e nel dolore tessono ogni giorno il presente del mondo, i percorsi dell’esistere quotidiano che cercano a ogni istante in me e attraverso me un destino vero e capace di dare senso e compimento alla vita qui mi hanno sempre riportato come alla terra del ritorno, come al luogo del necessario vedere dove lo sguardo, imparando l’attesa, comincia a conoscere l’infinito e ad amare l’eterno.
Nella sala espositiva della libreria Agorà arriva l’ultimo lavoro di Chiaramonte, realizzato a Gela, in Sicilia. Per la prima volta il fotografo affronta i luoghi d’origine dopo aver portato il suo sguardo lungo la penisola e nelle vastità americane. L’occasione è importante per verificare l’evoluzione di un autore che a lungo ha dato la speranza di poter proseguire il lavoro sul paesaggio italiano bruscamente interrotto dalla morte prematura di Luigi Ghirri.
In mostra appare una scelta, compiuta dall’autore, delle fotografie contenute nel catalogo che la accompagna, edito in occasione della prima inaugurazione siciliana. Bruno Boveri e Rosalba Spitaleri hanno ritenuto opportuno rispettare la successione delle fotografie stabilita nel catalogo stesso ed è così che appaiono al visitatore. Si tratta di stampe a colori piuttosto ordinarie, ottenute dall’ingrandimento di negativi a colori di medio formato (6×6). Colpisce sin dall’inizio la forte dominante giallastra che affligge omogeneamente tutte le stampe. La deliberata scelta progettuale di scattare nella luce radente del sole basso sull’orizzonte è stata forzata all’eccesso e l’intonazione così ottenuta lungi dal dare omogeneità al lavoro sortisce il fastidioso effetto di una trovata stilistica che lascia il tempo che trova. Siamo lontanissimi dall’uso sapiente del colore di un Meyerowitz, di cui peraltro Chiaramonte è fortemente debitore. Siamo anche lontani da certe suggestioni di West Wards, il suo lavoro americano. Purtroppo nella mostra non compaiono alcune interessanti immagini della gente di Gela che avrebbero spezzato la monotonia di un paesaggio urbanizzato in modo desolante. Non è nemmeno lusinghiero il fatto che sia preferibile osservare il lavoro sul catalogo, ben stampato e con un costo incredibilmente basso (Lire 38.000).
Nel complesso la sensazione è che Chiaramonte abbia imboccato una strada manieristica senza grandi sbocchi concettuali. La difficoltà di trovare una via evolutiva tra due riferimenti del calibro di Meyerowitz e Ghirri è reale, tuttavia la soluzione non dovrebbe essere cercata nelle dominanti di colore e nelle soluzioni di inquadratura ripetute pari pari sia che ci si trovi in Florida piuttosto che a Gela, quanto nel tentativo estremo di liberarsi di loro nella mente e nell’occhio.
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