dicembre 2000 | Visioni d’Oriente. Fotografie 1860 – 1890 dalla collezione di Luciano Rigolini | Chiasso, Galleria Cons Art

di - 14 Dicembre 2000





La produzione scientifica, letteraria e artistica che vi si rapporta è infinita, riflesso di una vera ossessione. La colonizzazione, lo sviluppo del turismo non fanno altro che amplificare ancora il fenomeno. Questo riconosciuto fascino dell’Oriente è stato rappresentato innumerevoli volte. …Dopo il 1839, data ufficiale dell’invenzione della fotografia, numerosi sono stati i viaggiatori, in Oriente come altrove, che hanno aggiunto ai loro bagagli la pesante
ed ingombrante attrezzatura da fotografo. La moda crescente di questi viaggi, il cui cammino era stato
mostrato dalle armate napoleoniche, da Chateaubriand, Champollion, i poeti romantici, poi seguito dai curiosi sempre più numerosi fino alla nascita di un vero e proprio turismo moderno negli anni 1870 e 1880, ha poi incitato i fotografi professionisti a istallarsi sul posto
(Hammerschmidt al Cairo nel 1860, per esempio), per rendere ai viaggiatori di passaggio delle viste realizzate intenzionalmente, precedendo in questo modo, di una
decina d’anni, il commercio delle cartoline. (Tratto da Voyage en Orient. Sylvie Aubenas e Jacques Lacarrièrre.
Bibliothèque national de France. Ed.Hazan Parigi 1999)
La fotografia nel diciannovesimo secolo in Giappone acquista valore e qualità con la pratica della colorazione. In contrasto con gli occidentali, i Giapponesi
consideravano le fotografie dipinte una forma d’arte, rifacendosi alla loro vecchia tradizione dell’intaglio nel legno. Un vero maestro di quest’arte fu lo sconosciuto autore che su una foto di Kusakabe Kimbei con duecento monaci buddisti, eseguì la colorazione ridando espressione ai volti con l’utilizzo di un pennello con un pelo per gli occhi e le labbra. I vestiti e l’ambiente colorati magistralmente fanno di questa immagine la più rappresentativa di questa tecnica.
In Giappone i fotografi lavoravano occasionalmente come “registi”, mettendo in posa i loro attori in situazioni drammatiche con sfondi ricostruiti. Venivano usati dei fili di metallo sottili per alzare le gonne e dare l’impressione del vento. Una volta che la fotografia era scattata, il fotografo graffiava “la pioggia” sulla lastra fotografica. Gli album potevano essere fatti di legno laccato oppure intarsiati con l’avorio e il compratore ordinava questi disegni direttamente al fotografo oppure tramite un agente che si occupava di
comporre una sua collezione. Malgrado la popolarità di questo genere di fotografie i paesaggi furono i più richiesti. Il viaggiatore, dopo tutto, avendo visto il
ponte di Nikkò preferiva questa immagine piuttosto che il ritratto di una dama sconosciuta.
(Tratto da Master of early travel photography. Ed. Thames and Hudson
1983)



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