L’esperienza dei fotografi della Farm Security Administration costituisce certamente una delle più significative del Novecento, innanzitutto per la storia dell’immagine documentaria, ma anche per l’approccio a generi quali il paesaggio o il ritratto, e per le implicazioni ideali e morali della sua vicenda. Essa è legata alla Grande Depressione che colpì gli Stati Uniti tra le due guerre toccando il momento di maggiore gravità nella prima metà degli anni Trenta. Gli effetti della meccanizzazione dell’agricoltura, il mutare delle esigenze produttive legate allo sforzo bellico, alcuni anni di siccità furono tra le cause dell’impoverimento di migliaia di contadini, costretti ad abbandonare le proprie terre, dal Texas all’Oklahoma, dal Kansas al Dakota, trasformatesi in dust-bowls, tazze di polvere.
I fotografi che furono chiamati a realizzare questo intento erano assai diversi tra loro per formazione, per stile, per il modo di affrontare la realtà da fotografare; a unirli c’era però la forte partecipazione ideale ed emotiva, la volontà e la consapevolezza di contribuire a un progetto civile di stampo riformista, e dall’ampio respiro culturale, sociale e politico. È dunque in tal senso che parliamo di questi autori come gruppo, non solo perché fu l’occasione ad unirli, ma per la loro capacità di indirizzare le diverse attitudini verso un unico obbiettivo, dando vita a un insieme ricco e idealmente unitario.
A segnare la via nella fotografia-documento, erano stati negli Stati Uniti prima Jacob Riis, che intorno al 1890 fu il primo a recarsi con un apparecchio nei bassifondi di New York, poi Lewis W. Hine, che all’inizio del secolo eseguì eccezionali scatti degli immigranti, e che grazie a fotografie di bambini sfruttati come manodopera riuscì a far approvare alle autorità una legge sul lavoro minorile. Essi furono i primi a comprendere quanto la fotografia potesse valere più di qualsiasi discorso per colpire l’opinione pubblica, ed è in base questa lezione che lavorarono gli autori della FSA.
Stryker coinvolse diversi fotografi, tra cui vanno citati Walker Evans, Dorothea Lange e Ben Shahn, i tre più noti, ma anche Arthur Rothstein, John Vachon, Jack Delano, Russell Lee, Carl Mydans.
Evans si era formato fotograficamente e culturalmente in Europa, a Parigi, poi, come i grandi connazionali suoi contemporanei, prese la strada della straight photography. Secondo quei dettami, iniziò a fotografare con una macchina a lastre di grande formato (20×25 cm) il paesaggio rurale americano: le case coloniche, le insegne, le automobili nelle strade polverose, le scuole e le chiese, e gli abitanti di quel mondo così lontano da quello metropolitano. Dal 1935 continuò questo lavoro per il governo, scattando sempre poche e formalmente perfette fotografie, operando con il cavalletto, in veduta frontale, adoprandosi poi perché, in stampa, emergesse ogni dettaglio della scena ripresa. Con il suo stile riuscì sempre a donare bellezza ai luoghi più miseri, così come alle persone, ritratte quasi sempre con lo sguardo dritto nell’obbiettivo – e, grazie a Evans, potremmo dire nel cuore.
Anche Dorothea Lange, quando iniziò a collaborare con la FSA, aveva già molta esperienza, nel suo caso come ritrattista di studio a San Francisco. Intraprese la via della fotografia documentaria colpita dalle migliaia di immigranti provenienti in città dagli Stati ad economia rurale, e quando Stryker vide le foto che aveva scattato loro non esitò a imbarcarla nel suo progetto. Il suo stile è molto diretto, privo di estetizzazioni ricercate, formalmente curato ma in modo discreto; l’attenzione ai volti delle persone è pari a quella per i loro gesti e le loro cose. Soprattutto, traspare dalle sue immagini il coinvolgimento emotivo che provava nell’avvicinare i soggetti. La Lange disse infatti: «Per me la fotografia documentaria è meno una questione di soggetto e più una questione di approccio. L’importante non è cosa è fotografato, ma come». Le sue immagini sono state fondamentali per John Ford nel girare il suo film Furore.
Ben Shahn era emigrato a New York dalla Lituania all’età di sei anni. Si dedicò all’attività di grafico e nei primi anni Trenta iniziò ad avere successo artistico come pittore, con uno stile (e un impegno politico) che risentiva della Nuova Oggettività tedesca di Grosz e Dix, ma anche del moralismo messicano. La sua esperienza di fotografo ebbe inizio nel 1933, quando si ritrovò in mano una Leica e chiese a Evans, con cui condivideva uno studio a Manhattan, di insegnargli ad usarla. Il suo approccio, negli esiti, non avrebbe potuto essere però più diverso da quello di Evans. Chiamato alla FSA, Shahn seguì il proprio istinto e la propria formazione: non curandosi delle regole formali, né dei casuali effetti di mosso e sfuocato, fotografava a mano libera con un apparecchio di piccolo formato, e dotato di mirino angolare, che gli permetteva di riprendere la scena voluta guardando in un’altra direzione. Non è del tutto corretto però dire che fotografasse di nascosto, perché la sua regola era di presentarsi sempre come fotografo, dialogare con le persone e far accettare ad esse la propria presenza, prima di scattare. Shahn, uomo di grande cultura visiva e ammiratore di Cartier-Bresson, ha creato così immagini antitradizionali molto forti, sempre ricche di personaggi e di particolari, che ci proiettano in quei luoghi come d’improvviso.
L’unità di tutte le fotografie al di là di stili così diversi fu senza dubbio merito dell’intelligenza di Stryker e degli autori, ma anche della capacità aggregante di un progetto e di un ideale comune: in questo senso l’esperienza della FSA, svoltasi dal 1935 al 1942, ha rappresentato un esempio difficilmente eguagliabile. Tutte le fotografie sono oggi conservate presso la Library Of Congress, in una sezione speciale dedicata alla american memory.
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tutte le fotografie sono consultabili online sul sito della LoC, all’indirizzo: http://memory.loc.gov/ammem/fsahtml/fahome.html
Daniele De Luigi
[exibart]
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