exibstoria – la fotografia V | Il dopoguerra italiano e il C.F. ‘La Gondola’

di - 4 Luglio 2001

Gli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale furono molto importanti per ogni aspetto della vita culturale italiana, e la fotografia non fece eccezione. La fine della censura fascista, che era stata radicalizzata allo scoppio del conflitto (emblematico il caso della vivace rivista “Corrente”), la coscienza di trovarsi in un’Italia diversa, che andava in qualche modo raccontata, fece compiere scelte precise a fotografi, giornalisti, direttori di riviste illustrate. Le due grandi linee su cui, sgrossando la realtà, essi si attestarono, furono quella “realista” – dunque dell’impegno sociale, della documentazione di cronaca, del reportage nei luoghi dimenticati – e quella “formalista” – volta alla ricerca del bello estetico come forma di verità, analogamente alla pittura tradizionale -. La prima di queste posizioni fu propria, ad esempio, della rivista “Il Politecnico” di Vittorini e Crocenzi, o dell’Unione Fotografica fondata da Pietro Donzelli. A dare forza alla fotografia “artistica” furono i gruppi amatoriali, di cui “La Bussola” del marchigiano d’adozione Giuseppe Cavalli si pose senza dubbio come guida. Nel suo manifesto, pubblicato su “Ferrania” all’inizio del 1947, si legge che «il soggetto in fotografia non ha alcuna importanza», ciò che conta è invece «raggiungere il cielo dell’arte». Il fenomeno dei circoli fotografici caratterizzò quest’epoca, coinvolgendo nella pratica fotografica molti amatori; di questi, tanti divennero autori che avrebbero fatto la storia della fotografia italiana, trasformando la passione in un impegno di tipo professionale.
Insieme alla “Bussola”, il fotoclub italiano più importante fu “La Gondola” di Venezia, fondato tra la fine del ‘47 e l’inizio del ’48 da Bolognini, Bresciani, Monti e Scattola. Se non appartenne certamente al neorealismo, la “Gondola” si distinse però nettamente, per stile e scelte, dal puro formalismo pittorico della “Bussola”. Ne parliamo con Ezio De Vecchi, che ne è socio ed animatore dal 1970, cercando di capire, oltre alla storia, anche il presente e il futuro di questo sodalizio di fotografi ultracinquantenne.

Che giudizio si può dare oggi, secondo te, del dibattito del dopoguerra italiano tra “formalisti” e “realisti”?
DeV: Per quanto ne so (solo adesso si sta rivalutando la storia della fotografia italiana anche in campo amatoriale) non c’era dibattito. I formalisti pensavano di avere ogni verità in tasca, il rifiuto del “diverso” era totale, non ammetteva mediazioni. Non dimentichiamo che, usciti dagli orrori e dalla conseguente povertà indotta dalla guerra, il fotoamatorialismo era necessariamente elitario.
Proprio la settimana scorsa, a cena dopo l’inaugurazione della mostra di Gianni Berengo Gardin a Padova, Nino Migliori mi raccontava che i giovani di allora, quasi increduli per essere usciti indenni da tanto disastro, sentivano esplodere una meravigliosa voglia di vivere, e anche, se possibile, di dimenticare gli orrori; questo potrebbe anche essere uno dei motivi che hanno creato “l’occasione persa”, la mancata partecipazione a documentare fotograficamente quei tempi… anche se poi, negli anni ‘60, il reportage fu nuovamente portato in auge dai più prestigiosi fotoamatori di allora (e di sempre – alcuni nomi che primi si affacciano alla memoria: Gianni Berengo Gardin, Nino Migliori, Bepi Bruno e Fulvio Roiter).
Va anche sottolineato che l’editoria dell’epoca era assai limitata. Le riviste di fotografia arrivavano (se e quando) dall’estero.
Il Circolo la Gondola non partecipò alla disputa, anche per la lungimiranza del suo fondatore, Paolo Monti.

In effetti il giudizio degli storici sulla Gondola è sempre di un gruppo sui generis. Solitamente i riferimenti culturali citati riguardano la cultura francese per il modo di narrare la realtà, e quella tedesca, è giusto?
Certamente; per sua stessa ammissione (vedi Fotologia 18/19, pagg. 40-43, Alinari, autunno ’97) Paolo Monti è molto debitore alla cultura francese, anche se poi fotograficamente è più vicino ad Otto Steinert.

Ineluttabilmente, è emerso subito il nome di Paolo Monti, senza dubbio la figura chiave della Gondola (e non solo): vuoi tratteggiarne un breve ritratto? Qual è la sua eredità di fotografo?
Difficile rispondere in modo conciso: uno dei più grandi fotografi italiani di tutti i tempi. Colto, appassionato, curioso, moderno sono i primi aggettivi che mi sovvengono. Arrivato a Venezia sul finire degli anni Quaranta, fonda il circolo nel 1948 e ne rimane presidente fino al ‘53, esplicando la sua benefica influenza su tutto il gruppo, dal quale usciranno, e non è un caso, i più bei nomi della fotografia italiana amatoriale. Nel ‘53 chiude la sua esperienza veneziana ed abbandona il lavoro di grande responsabilità dirigenziale per darsi al professionismo, ed emigra a Milano.
L’eredità morale è di valore inestimabile. Ha insegnato il gusto della ricerca a 360 gradi, spaziando dal paesaggio veneziano e lagunare, a mini cronache del quotidiano, senza disdegnare il formalismo quasi pittorico e sconfinando nell’astratto. Sul finire della carriera professionale si è poi distinto nella ricerca sul territorio e l’architettura. Una vera miniera di immagini, una prova di passione travolgente per la fotografia.

Gino Bolognini uno dei fondatori della “Gondola”, affermò che essa nacque per «non permettere che la più bella e fotogenica città del mondo fosse priva di un sodalizio [di fotografi]»: quanto fu importante Venezia per la definizione della poetica degli autori?
Direi essenziale. Non è casuale che Paolo Monti stesso, giunto in laguna per lavoro senta esplodere questa grande passione. È la vita stessa di questa città con i suoi ritmi così diversi… Anche gli spostamenti, per lo più a piedi, hanno tempi diversi da quelli degli spostamenti nelle altre città. Camminando immersi in queste scenografie a volte fiabesche, c’è il tempo di guardarsi attorno, di riflettere…

E oggi cosa significa, per voi, essere fotografi in una delle città più fotografate del mondo?
Vi è anche una grande difficoltà, quella di fuggire dallo stereotipo, sempre in agguato. Ma l’unico aiuto può venire dalla cultura, fotografica e generale. Non per nulla, qui ci sono stati i grandi fotografi nati prima della fotografia stessa: Guardi, Canaletto, Bellotto e via… pitturando. I vedutisti veneziani fecero uso quotidiano della “camera obscura”.

La Gondola fu fondamentale per lo sviluppo della cultura fotografica in Italia anche tramite attività espositive di ampio respiro…
Anche qui la risposta richiederebbe pagine intere. Cinquant’anni d’avanguardia, anche culturale, non possono che essere costellati di interventi in questo senso. Ricorderò solo il decennio che precedette la grande manifestazione della Biennale Venezia ’79, il mirabile ed ancora mai eguagliato compendio della fotografia italiana, amatoriale e non. Ebbene, dal ‘70 al ‘78, pur con i mezzi economici limitatissimi, il nostro gruppo, grazie alla preziosa collaborazione del Diaframma di Lanfranco Colombo, ha avuto l’onore di portare in Venezia mostre di questo calibro: Rassegna della fotografia francese dal 1840 ai giorni nostri; Rassegna della fotografia svizzera; L’avanguardia americana; Hamilton; Boubat; Cagnoni; Fontana; Malfagia; Cambi; Lotti… in sedi espositive prestigiose, come l’ala napoleonica del museo Correr e le sale apollinee della Fenice. Poi l’avvento delle grandi mostre culturali a palazzo Grassi e all’isola di San Giorgio ci hanno praticamente tagliato fuori, senza contare la concorrenza impari di un organismo come la Biennale, ricco di mezzi, capacità e professionalità, che negli ultimi anni ha molto aperto sul fronte della fotografia.

Nel passato i circoli hanno segnato a fondo la storia e l’evoluzione della fotografia; oggi tutto appare diverso, e la situazione appena citata da te è davvero paradigmatica, anche se le attività significative non mancano. Qual è oggi il ruolo che sentite di svolgere oggi voi in quanto gruppo?
Ti ringrazio per questa bella domanda. Credo che per il nostro, come per gli altri gruppi, si tratti di un ruolo di nicchia. Oramai la diffusione e la cultura restano affidate alla miriade di riviste fotografiche su carta e virtuali, e alle istituzioni che sembrano svegliarsi dal troppo lungo letargo. A livello grandi mostre si fa ancora troppo poco, ma ci vuol pazienza. Non desta meraviglia che in Italia ancora non esista un museo permanente della fotografia, che potrebbe aver sedi diffuse sul territorio nelle così dette città d’arte?
Torniamo al ruolo dei circoli fotografici. La cosa più importante è offrire ai fotografi, giovani e non, una platea, un nucleo di spettatori qualificati, con i quali ogni autore possa intavolare un costruttivo dialogo. Da questo consegue un allenamento, una capacità di analisi critica, che è più facile esercitare sulle immagini altrui che sulle proprie creature. Poi però il fotografo assimila, e riesce quindi anche miglior giudice di se stesso, più severo, meno conciliante; e può prender più facilmente coscienza che la fotografia è un linguaggio, non un passatempo, pertanto va praticata soprattutto da chi ha qualcosa da dire. È una politica che noi perseguiamo da decenni e che adesso trova qualche tentativo di allineamento.
È ancora troppo poco, soprattutto episodico, quanto si fa in occasione di convegni, raduni, festivals della fotografia. Non esiste ancora una Arles italiana, anche se qualcosa si muove. Vero è che forse il nostro è un gruppo fuori media, ma anche le piccole realtà provinciali si stanno muovendo, a seguito di un rinato interesse della stampa specializzata e – perchè no? – anche di internet.

Qual è stato, ed è, il rapporto della “Gondola” con le nuove tecnologie? Ieri il colore, oggi il digitale…
Su questo siamo ancora… tradizionalisti. Mediamente siamo bianconeristi sfegatati, e per quanto concerne il digitale, è una spina nel fianco. Proprio noi, abituati da sempre a precorrere i tempi, su questi argomento siamo in larga parte deficitari. Alligna ancora una certa qual diffidenza, mista a paura e/o gelosia. Gelosia del proprio mestiere, delle proprie conoscenze e capacità, dei trucchi poco spesso svelati. Paura di perdere il controllo del mezzo tecnico, paura di doversi abbandonare ai contenuti, lasciando i compiti meramente tecnici ad una intelligenza artificiale.
Ovviamente questa è una riposta che riguarda il gruppo, nel suo complesso.
A titolo personale mi sono tuffato nel digitale da alcuni anni, e non mi spaventa affrontare le nuove problematiche che con esso affiorano. Qui però il discorso si farebbe lungo, e comunque non riconducibile alle esperienze corali del sodalizio.

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Link correlati
il sito di Ezio De Vecchi
il sito della Gondola


Daniele De Luigi

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  • gentili signori,
    ho necessità di mettermi in contatto direttamente con berengo gardin, maurizio buscarino,pino masi, ferdinando scianna, gabriele basilico.potreste, per favore, indicarmi un qualsiasi recapito dove posso comunicare con loro(mail,indirizzo, telefono,ect...) vi prego di volermi aiutare, ho bisogno di mettermi inncotatto con loro. nella speranza di una vostra sincera collaborazione colgo l'occasione per porgervi cordiali saluti.
    grazie
    veronica partesi

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