Nel chiostro grande che una volta apparteneva alla chiesa di San Domenico, a Reggio Emilia, il giorno dell’inaugurazione della mostra antologica di Luigi Ghirri si accalcano davanti all’ingresso molte decine di persone. Tra queste, un uomo addita alla propria moglie l’immagine scelta come manifesto dagli organizzatori: un palazzo reso ancor più monocromatico da una nebbia leggera, due semafori rossi. «Sai cos’è quello? – le chiede – È quel palazzo in circonvallazione, in fondo a via Nobili..». «No, dai!..». Si comincia così, a provare stupore davanti alle fotografie di Ghirri, a percepirne la magia.
L’esposizione di Reggio è un evento importante perché, se sempre più in questi anni si è parlato di Ghirri e si è potuto ammirare le sue fotografie, mai come questa volta si è avuta l’opportunità di compiere un viaggio completo attraverso tutta la sua opera, dai primi scatti agli ultimi, e di comprenderne così il significato e il valore: ben 600 pezzi, selezionati da Massimo Mussini in collaborazione con Paola Bergonzoni Ghirri, provenienti dalla Fototeca della biblioteca Panizzi. La mostra nasce a seguito del riordino dell’intero archivio Ghirri (composto da 150.000 pezzi fotografici, ma anche da scritti, cartoline, libri, dischi e altro), curato dalla responsabile della Fototeca, Laura Gasparini, e ora consultabile anche via Internet.
Delle fotografie in mostra, trovano posto nelle sale dei Chiostri di San Domenico, quelle relativi agli anni Settanta, e in quelle di Palazzo Magnani, quelle fino al 1992, anno in cui la morte venne improvvisamente a casa di Ghirri per portarselo via. La suddivisione trova la sua precisa motivazione nel percorso operato dall’artista, consumato in soli vent’anni, bruscamente interrotto, eppure perfetto e coerente come un cerchio. Esso si apre con alcuni scatti in bianco e nero, fatti per documentare il lavoro di amici artisti operanti nel Concettualismo o nell’Arte Povera, quali Guerzoni e Parmiggiani: un momento di formazione importante per il giovane Ghirri, che comprende la necessità di riflettere sul ruolo e il significato dell’immagine fotografica nella società contemporanea. Le prime immagini sono allora trompe-l’oeil, icone pop di provincia, fotografie di fotografie, tutte già incredibilmente “ghirriane” per il taglio compositivo, e per l’ironia che le contraddistingue. In una sala, sono disposte a quadrato quattro immagini, ciascuna delle quali contiene al proprio interno una scritta, “genio”, “a Ulisse”, “Sigmund Freud”, “conoscenza”: quasi un enigma, che ci spinge a compiere una riflessione per immagini sul nostro modo di conoscere le cose. Cartoline, mappe geografiche, ci danno l’illusione di sapere, ma di esse Ghirri sottolinea anche il risvolto positivo, che è la capacità ariostesca di stimolare la nostra immaginazione. In un’epoca in cui il la memoria è sempre più fragile, e tutto velocemente invecchia e perde valore, lo sguardo di Ghirri si posa su oggetti e luoghi quotidiani riempiendoli di poesia, perché come scrisse Proust bisogna saper «ritrovare nelle cose, il riflesso che la nostra anima ha proiettato su di esse», ed è questo l’unico antidoto all’oblio.
Oltre a lasciare affascinati e arricchiti, questa mostra può anche insegnare qualcosa a chi la visiti, senza retorica: quando ce ne stiamo chiusi in automobile, e vediamo un semaforo rosso, anche solo una volta ogni tanto, si può non innervosirci, e soffermarsi invece a cercare una bellezza imprevista che chiede solo un attimo della nostra attenzione.
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Link:
www.panizzi.comune.re.it
www.palazzomagnani.it
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Unica e imperdibile!E non sono di parte solo perchè Ghirri è l'argomento della mia tesi