Tazio Secchiaroli è stato, a torto o a ragione uno dei maggiori fotografi italiani del dopoguerra, ingiustamente relegato, a mio avviso, in un ruolo minore etichettato dalla parola Paparazzo, parola dalla genesi letteraria, nata per fissare un ruolo più che una persona. Il successo del film felliniano prima e la naturale indifferenza agli autentici fenomeni, tipica del momento e della nostra cultura quando tali fenomeni siano assolutamente nostrani, hanno fatto il resto. Il falco di Via Veneto, l’impietoso [ ma quanto ] testimone delle scorribande notturne della Hollywood sul Tevere, era in realtà una persona dotata di una grande intelligenza visiva capace di mettere a nudo o di cogliere con delicatezza le situazioni che di volta in volta si trovava a vivere. La svolta nella sua produzione arriva grazie al rapporto con Fellini prima, che lo introduce nel mondo del cinema come fotografo di scena, e poi con l’incontro con il fotografo americano Gjon Mili incontrato casualmente sul set di un film. Secchiaroli fa sua la lezione di Mili e comprende che al gesto istintivo vuole sostituire la meditazione, il ragionamento, alle luci violente del flash quelle studiate a regola d’arte, che evidenziano le qualità scultoree della luce usata con sapienza, l’uso dello sfocato con fini estetici, il senso della disposizione dei piani nello spazio. E questo si vede, la svolta è effettiva ed il salto non è indifferente.
La grande umanità, il suo approccio sensibile e sincero alle persone ed alle personalità alle quali si avvicinava gli permettevano di poter lavorare in piena tranquillità, di cogliere momenti intimi, di rendere al massimo I canoni che contraddistinguevano I soggetti che di volta in volta gli si offrivano. Indimenticabili le immagini di Federico Fellini colto nei momenti di lavoro sul set, momenti che rappresentano la vera essenza del personaggio, autentico artefice di ogni minimo avvenimento, persona attorno alla quale l’universo composto da attori, tecnici, semplici lavoranti ruotava in una solo apparente atmosfera caotica, autentica fornace di idee ed improvvisazioni, improvvisazioni alle quali lo stesso Fellini non si sottraeva.
Il rapporto con Sofia Loren era al massimo dei livelli possibili di confidenza. Lui era “il fotografo”, il suo fotografo personale, e la seguiva ovunque, in qualsiasi luogo l’attrice lavorasse, e Tazio espresse la carica sensuale e l’avvenenza di questa attrice ad un livello di intensità che si riscontra difficilmente nel panorama fotografico e che si può accomunare senza timore a quello dei più grandi maestri del genere.
Con Mastroianni entra in confidenza durante la lavorazione de La Dolce Vita, film del quale é anche consulente specifico del regista, e anche di questo attore rimangono immagini memorabili, pur restando nell’ambito dello stile sobrio che contraddistingue questa fase dell’attività di Secchiaroli.
Tazio smise di fotografare nel 1983, dicendo che la fotografia richiede una grande carica vitale, e lui quella carica vitale sentiva di averla persa. Continua comunque ad interessarsi di fotografia e arriva a tenere lezioni universitarie sul tema.
La mostra alla Fondazione verte principalmente su tre personalità: Federico Fellini, Marcello Mastroianni e Sofia Loren, grandi amici di Tazio.
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Il sito della manifestazione : biennale fotografia 2001
Paolo Viridian
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