La mostra, curata da Silvana Turzio e Fabio Castelli, è la seconda esposizione in Italia dedicata all’artista. La prima, Una città due architetture, è stata infatti organizzata da Domus nel 1951, ed era ispirata al lavoro di Hervé fatto alla Cité Radieuse di Le Corbousier. Lucien Hervé, il cui vero nome è Elkan Laszlo, nasce in Ungheria nel 1910. Fuggito dalla prigionia di guerra, si batte come partigiano prendendo il nome di L. H. Nel 1929, quando arriva a Parigi, inizia la sua attività come pittore – disegnavo molto su superfici piatte – poi si dedica al giornalismo e infine alla fotografia. Comincia a fotografare all’età di 28 anni, nel 1938, per Marianne Magazine, poi prosegue la professione con la celebre rivista Vu. Svolta significativa nella vita di Hervé l’anno 1949 quando, per Art Sacré, si reca a Marsiglia; scopo del viaggio fotografare la Cité Radieuse allora in cantiere. Ne resta così affascinato che scatta 700 foto in una sola giornata. Inizia qui un’intensa collaborazione, personale e professionale, con Le Corbusier, al quale resta fedele (30.000 fotografie di tutti i suoi cantieri) fino alla morte dell’architetto nel 1965: “Lavorare con Le Corbusier mi è senza dubbio servito, ma è una cosa che ho voluto. La nostra relazione non è stata sempre facile. Ho voluto rompere più di una volta, ma c’è una regola nel lutto che dice che quando si è scelta una cattiva occupazione non la si abbandona più. Diciamo che io facevo sembrare di dimenticare le sue meschinità. Sono stato accusato di essere fotografo di Le Corbusier quando ho fatto mille altre cose. Credo di avere imposto la mia visione”.
Intorno agli anni ’50-60 la notorietà di Hervé è tale che numerosi altri architetti gli chiedono di seguire i loro lavori: Gropius, Breuer, Aalto, Nervi, Neutra, Niemeyer, Prouvé. Hervé è un fotografo intransigente, rigoroso; nota significativa della sua produzione artistica l’aver tradotto il modernismo dello spazio – il vuoto acustico – come lo chiama lui, in figure in cui gli elementi devono corrispondersi come in una partitura (L. Hervé ascolta Béla Bartok e suona il piano). Questo suo gusto imperioso per le forme moderne lo porta spesso a creare visioni architettoniche rette da prospettive a coltello, immagini che trattengono l’occhio, tanto sono strutturate e verticalizzate. Spazi in cui il colore delle immagini non decora ma crea ambienti geometrici nuovi, quasi senza difetti, astratti. Un esempio è il suo ultimo lavoro, un mosaico di foto intitolato L’appartamento. Le foto impressionano le superfici di mobili, arredi e quadri – e un uso sapiente dei colori e dei contrasti tra luci e ombre permette alle superfici fotografiche di inventare forme altre che si sovrappongono agli oggetti reali provocando rivolgimenti – bouleversement – e spostamenti delle prospettive.
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domus
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Fondazione Le Corbusier
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