Siamo al primo piano del Museo in Trastevere, nei due corridoi che ci accolgono scorrono parallelamente due mostre distinte, quella di Piergiorgio Branzi con “Diario Moscovita 1962 – 1966” e “Mezzo secolo di fotografia” di Guglielmo Coluzzi.
Non se se sia un caso, legato solo allo spazio, ma il parallelismo, che li lega anche temporalmente, rende le due mostre interessanti perché offre spunti di riflessione su come, ancora oggi, il lavoro del fotografo sia fortemente caratterizzato dalla destinazione d’uso.
Branzi, definito “fotografo d’estrazione colta” dagli stessi organizzatori della mostra, ha alle spalle non solo anni di giornalismo e foto-giornalismo, ma può contare sull’esperienza formativa e fortemente critica vissuta frequentando il Misa e il circolo fotografico La Bussola, frequentato fra gli altri da Giacomelli, Migliori, Camisia.
Sono anni di riflessione, di ricerca che incideranno fortemente sulla sua produzione. Altro elemento importante nel percorso fotografico di Branzi è la conoscenza di H.C. Bresson, prima attraverso le sue immagini e poi di persona a Parigi, ed è proprio lo stile “Bresson” a caratterizzare le sue foto, in modo evidente sopra tutto in quelle in mostra.
E’ importante notare, proprio per capire a fondo la differenza fra Branzi e Coluzzi, che le immagini di Mosca non erano foto nate per qualche servizio o lavoro, ma un vero e proprio diario personale della sua permanenza (durate 4 anni) in quella città . Ne risulta un racconto “delicato” fortemente compositivo ed attento agli attimi quotidiani, totalmente svincolato da logiche editoriali e commerciali. Lavoro cosi’ privato che è stato conservato per oltre venti anni prima di farlo conoscere al pubblico.
Dall’altra parte del muro, non solo figurativo, troviamo nelle immagini di Coluzzi: tutta la scuola giornalistica di chi per anni ha lavorato per il grande pubblico, seguendo gli eventi mondani, i personaggi famosi nella vita pubblica e privata.
Il suo lavoro non si ferma
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Maurizio Chelucci
mostra vista il 13.9.01
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