Il World Press Photo è il più prestigioso appuntamento mondiale per la fotografia giornalistica. Dal 1955 una giuria internazionale nominata dalla W.P.P. Foundation di Amsterdam designa ogni anno le immagini di eccezionale valore informativo che hanno maggiormente influenzato l’opinione pubblica. L’edizione attuale ha segnato un record assoluto di partecipazioni, con 101.960 foto in concorso per 128 nazioni.
Alla mostra in corso a Roma, che raccoglie tutte le stampe premiate in questa edizione, abbiamo incontrato due protagonisti che incarnano approcci molto diversi alla professione. Il primo è Pietro Mastrurzo, vincitore assoluto dell’edizione. Il suo reportage racconta una delle forme di protesta che hanno fatto seguito alle elezioni presidenziali iraniane del 2009. Per denunciare brogli elettorali, dopo le violente manifestazioni diurne nelle strade, di notte la gente continuava a protestare dalle finestre e dai tetti delle case con grida che ricordavano quelle della rivoluzione islamica del 1979.
Qual è stata la tua reazione alla notizia dell’assegnazione di questo importantissimo riconoscimento?
È stato come ricevere uno schiaffo in piena faccia. Anche se credevo moltissimo nel lavoro presentato, nella storia, nel modo in cui l’avevo raccontato, sapevo che non era abbastanza immediato per un premio giornalistico. Ma la giuria cercava proprio una storia che andasse più in profondità, che dicesse qualcosa di diverso. Ora la mia vita è cambiata radicalmente, e spero in nuove pubblicazioni. Prima era difficilissimo, ora invece vedo le mie foto dappertutto. Ma sopratutto, mi fa piacere che al centro sia la questione iraniana.
Come ricorda Ferdinando Scianna, i nostri giornali non finanziano più reportage e molti reporter italiani lavorano per agenzie straniere. Nel tuo lavoro hai avuto la percezione dalla carenza di grandi committenze legate agli editori?
Si sente moltissimo la mancanza di un editore, e credo che una stretta collaborazione tra giornalista e fotografo sia l’unico modo per operare nel contesto attuale. Io lavoro con l’amico giornalista Carlo Maddalena e questo reportage sull’Iran l’abbiamo vissuto insieme. Condividere le sensazioni a fine giornata, discutere sulle cose che hai visto e sentito con qualcuno che era dal tuo stesso punto di osservazione, per poi confrontarsi e dialogare con la popolazione locale, è fondamentale per comprendere ciò che hai davanti.
Avevate un progetto preciso quando siete partiti?
Volevamo vedere e seguire il momento delle elezioni, una fase cruciale per un possibile cambiamento, ma non sapevamo dove saremmo arrivati. Certamente non ci interessava solo la cronaca politica. Poi lì abbiamo incontrato questa storia che ci ha emozionato moltissimo.
Le tue fotografie riescono a raccontare i suoni e i rumori di quella notte, laddove la fotografia è un mezzo muto. E nella scelta del linguaggio emerge un uso del colore non costante nei tuoi lavori…
Non volevo assolutamente trasmettere una sensazione tragica e la leggerezza di quei colori tenui mi ha aiutato a raccontare quell’atmosfera. Ho capito da subito che questa narrazione doveva avere i colori di un sogno, in cui aleggiano anche fantasmi e incubi. Così come si avvertiva nell’aria tanta rabbia e insieme tanta dolcezza.
Quanto conta nel tuo lavoro il coinvolgimento nella realtà che hai davanti e quanto la freddezza nel comprendere in che modo raccontarla efficacemente?
Credo che essere coinvolto aiuti anche ai fini dell’efficacia dell’informazione e non mi sento tra quelli che vogliono essere trasparenti, impassibili come videocamere di sorveglianza. Tuttavia c’è sempre un momento in cui ti devi staccare. Credo molto nella dialettica giornalista-fotografo e da qui nasce, in fondo, anche la critica che ho sentito sul nostro lavoro premiato: che è complementare al testo. Verissimo, ed è giusto che sia così. Una storia va raccontata. Anzi, sto pensando di scrivere assieme a Carlo un libro su quella straordinaria protesta.
Hai fondato il collettivo indipendente Kairòs Factory. Vi interessa di più la libertà nella scelta dei temi o una organizzazione più garantista nei confronti dei singoli autori, come fu a suo tempo per la Magnum di Capa e Cartier-Bresson?
La nostra cooperativa vuole soprattutto garantire libertà di scelta nei temi da trattare e nel modo di narrarli, mantenendo tra i soci un forte senso di condivisione tanto nelle idee quanto nell’organizzazione.
All’anteprima stampa dell’esposizione abbiamo incontrato anche Alessandro Imbrìaco, a cui è stato assegnato un premio nella sezione Contemporary Issues per una sua ricerca sulla condizione abitativa disagiata in Italia. Il suo approccio è molto diverso da quello di Masturzo e la sua ricerca è incentrata sulle grandi città italiane. Emblematiche sono le documentazioni dell’Idroscalo di Ostia, del Casilino 900 e soprattutto del’ex ospedale Regina Elena a Roma.
Ti sei laureato in ingegneria e successivamente hai iniziato a documentare la precarietà della condizione abitativa ai margini della società. Che relazione c’è tra questa ricerca e la tua formazione universitaria?
Non c’è una relazione in questo senso. Anzi, la stagione universitaria è stata anche quella che ha visto maggiormente il mio impegno politico contro una impostazione didattica orientata prevalentemente alla grande industria specializzata. Da quelle esperienze sono poi entrato in contatto con il movimento “Lotta per la Casa”. Ora la mia ricerca si sta incentrando sulla documentazione di una mappa nascosta della città, cioè di tutto quel tessuto abitativo “invisibile” creato e utilizzato da una popolazione apparentemente integrata nella società ordinaria. Persone che lavorano più o meno regolarmente e che vivono in baracche improvvisate, tende, locali dismessi e abbandonati.
Tra i fotografi italiani premiati quest’anno tu sei uno dei pochissimi ad aver documentato una realtà italiana. E – in generale – il tuo lavoro è incentrato sull’Italia forse più di altri. Questa attenzione al territorio è più dovuta a un tuo personale taglio di ricerca o alla collaborazione con una grande agenzia italiana come Contrasto?
L’agenzia Contrasto mi ha aiutato moltissimo e mi ha incoraggiato a intraprendere la mia personale strada. Le altre scelte sono individuali e il taglio del mio lavoro dipende dalla volontà di vedere e comprendere ciò che abbiamo intorno tutti i giorni. Non è necessario andare lontano per trovare cose da raccontare.
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dal 14 maggio al 6 giugno 2010
World Press Photo 2010
Museo di Roma in Trastevere
Piazza di Sant’Egidio, 1/b (zona Trastevere) – 00153 Roma
Orario: da martedì a domenica ore 10-20 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Ingresso: intero € 5,50; ridotto € 4
Catalogo Contrasto
Info: tel. +39 065816563; fax +39 065884165; museodiroma.trastevere@comune.roma.it; www.museodiromaintrastevere.it
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