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FUORI QUADRO Quando la città si fa schermo
Fotografia e cinema
Le metropoli non sono più solo set cinematografici, ma una texture dove scorrono immagini in movimento e la "realtà aumentata". Con esiti imprevedibili
Un’esperienza importante di arte cinetica che sfrutta lo spazio urbano, è rappresentata dall’attività del gruppo di hacker berlinesi riuniti dietro la sigla Chaos Computer Club che, alcuni anni fa, trasformava le facciate dei palazzi in veri e propri schermi elettronici. Nel Project Blinkenlights (2001) (fig. 1), 16 finestre disposte su otto piani (per un totale di 144 illuminate da lampade) collegate a un sistema di computer, costituiscono una superficie su cui visualizzare simboli, parole e altri giochi di texture grafica.
L’idea non è nuova, basti pensare al palazzo dell’ENI nel quartiere Eur di Roma, sulla cui facciata di vetro, di notte – grazie ad una calcolata illuminazione nei vari uffici – veniva composto il famoso logo del cane a sei zampe, creato da Luigi Broggini. Questo intervento luminoso fu ideato nel 1984-85 da Mario Sasso, artista e grafico, creatore di oltre un centinaio di videosigle per la Rai, il quale aveva già realizzato qualcosa di simile nel 1978 sul palazzo di viale Mazzini a Roma per l’inaugurazione della terza rete. Gli esponenti del CCC, grazie alle nuove tecnologie, hanno però aggiunto il movimento e l’interattività, poiché il sistema consentiva alle persone di connettersi attraverso il cellulare mandando sms che venivano poi visualizzati sulla facciata.
Esistono poi edifici, chiamati media building, concepiti strutturalmente per veicolare informazioni ed elementi visuali. Tra di essi: il KPN Telecom Office Tower progettato da Renzo Piano e inaugurato a Rotterdam nel 2000 con una facciata costellata da 900 lampade che disegnano elementi grafici, scritte e immagini in movimento, oppure l’ampliamento del Kunsthaus di Graz nel 2004, ad opera di Cook e Fournier dove, come ricorda Eugenio Pandolfini nell’interessante saggio Architettura e spazio urbano (Apogeo, 2012), «le lampade sono regolabili individualmente e, grazie anche alla frequenza di 18 fotogrammi il secondo, il sistema permette di visualizzare immagini, filmati e animazioni nonostante la semplicità del sistema usato». Lo stesso Lev Manovich, teorico dei nuovi media, ha parlato di augmented space o augmented architecture, caratterizzata dalla «sovrapposizione di layers di dati allo spazio fisico».
Così, a oltre dieci anni di distanza, le creazioni dei CCC sembrano ormai archeologia digitale; la nuova frontiera è il mapping 3-D, una tecnica sempre più sofisticata di illusione ottica in grado di rendere virtuale qualsiasi struttura architettonica. Prendiamo il lancio del Nokia Lumia 800 che si è tenuto nell’autunno 2011 presso la Millibank Tower di Londra (fig. 2). Sulla facciata rettangolare dell’edificio, trasformata nel display dello smartphone, si sono susseguite immagini spettacolari accompagnate da un dj set. A parte gli infiniti giochi di grafica che si possono creare, questa sorta di spot tridimensionali, si basa su effetti speciali che alterano la percezione spaziale del grattacielo. Basti vedere cosa si può ormai combinare con un videoproiettore Barco: decorando in mille modi diversi una facciata; facendola ondeggiare, accartocciare, liquefare, crollare, esplodere, come nella sequenza illustrativa che si riferisce allo show per il capodanno 2010 a Sugarland, in Texas.
Quali saranno i futuri sviluppi di questa fusione tra reale e virtuale nello spazio architettonico? Intanto è già possibile, visitando i luoghi in cui sono stati girati film famosi, rievocare sui palmari sequenze precise, sovrapponendo così la rappresentazione filmica di ieri allo spazio odierno. Allo stesso modo possiamo richiamare in tempo reale i contenuti della rete ad integrazione delle nostre passeggiate nella città.
Il rischio della realtà aumentata è semmai questo: contando sull’abbellimento e l’arricchimento mediante immagini fisse o in movimento del nostro habitat, forse degraderemo sempre di più le nostre metropoli costruendo edifici sempre più brutti, con la scusa di poterli poi migliorare virtualmente.
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 82. Te l’eri perso?
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