New York in formato Polaroid

di - 13 Giugno 2011
Dagli squarci di cielo aperto che offre New York, come da quelli spettrali che illuminano le volte di quello sotterraneo Maripol (nata in Marocco e cresciuta in Francia) sceglie di scrutare intensamente il punto che lega entrambi per metterli in dialogo. Uno sguardo, che nell’indagare le maglie di un tessuto così complesso eppure seducente, l’ha introdotta ai suoi riti e resa partecipe di quel fermento irrefrenabile dove la creatività si sfrangia nei frastuoni metropolitani. Nel 1976 la diciannovenne artista approdata in città comincia a decifrare i lineamenti di un tale agglomerato urbano, e nel contempo a ritrarre i visi che ne popolano l’umanità in transito. Il passaggio che dal fascino per l’universo della moda, quale art director per Fiorucci e stylist per Madonna, conduce al ventre caotico dell’area off newyorkese sembra essere vissuto senza soluzione di continuità da quella ragazza che, lasciandosi alle spalle una formazione francese, abbraccia le ibride e compulsive relazioni tra il visivo e il sonoro metropolitano e dal cui impatto assiste allo scaturire straordinario di ricerche, che fanno della comunicazione lo svelamento di un fermento labirintico, stretto all’interno di un luogo culturale senza eguali, come ripetutamente New York ha dimostrato di essere.

Da questa immersione nello scenario urbano si presenta a Maripol un tumulto convulso di eventi mondani e off, dove si susseguono in alternanze inconsuete sia i party scintillanti delle case di moda quanto le scorribande emotive nell’humus artistico della downtown, lasciando che le tracce del vissuto chiedano liberamente e a gran voce di essere posizionate negli interstizi muti di un mega-spettacolo in progress.

Cosa significa cercare di sviluppare una relazione di convivenza con queste realtà plurime? Ebbene, per una personalità intelligente e curiosa significa infrangere gli spazi insonorizzati, gli intervalli sociali e produttivi facendo convergere la concretezza dell’industria dello spettacolo, o della moda, affinché possano convivere con i flash visionari della subcultura e del mondo dell’arte nella successione di incessanti scatti di Polaroid, che per l’artista ‘hanno qualcosa di speciale, semplicemente catturano l’istante. Tutto lì. La scatti, la vedi’. Inoltre Maripol precisa: ‘le foto servivano sia per documentare le fasi di lavorazione delle collezione a cui mi stavo dedicando, sia per ritrarre tutte le persone che gravitavano attorno al mondo che frequentavo’.

Tutto lo spirito e il fermento artistico degli ’80 sono congelati negli scatti e nei ricordi di Maripol, “la ragazza delle polaroid”; protagoniste, le star della city, da Andy Warhol a Jean Miche Basquiat e Madonna, in una stagione di creatività che resta indimenticata.

Vengono così ad accostarsi still life e sguardi che diventano allusive strizzate di occhi, fessure che dischiudono il passaggio di storie personali consegnate ai trapassi di colore, alle sfocature emotive che traghettano verso fulminei scatti della memoria, veri riflessi di quegli istanti irripetibili.

Gli stessi scatti esposti poi in gallerie, quindi chiamati a spargere in tutto il mondo i frammenti di quella stagione febbricitante, legittimano questa trasmissione, un rituale in grado di riportarci alla ricerca dell’evocativo, attraverso uno scenario della quotidianità metropolitana e dei suoi personaggi più o meno noti. Le Polaroid danno il via allo srotolarsi di aneddoti, storie, frequentazioni depositate attraverso una tecnologia di ripresa fotografica, che Manipol adotta per la sua immediatezza, facendone uno slancio senza pentimenti, un ritratto rubato e subito riprodotto, talvolta con l’aggiunta di ritocchi di Magic Marker. Sembra che in questa valenza l’attimo fermato possa risplendere, grazie alla preservazione di un’insita ingenuità che lo permea e lo rende un frammento di vita autentica. Il taglio fotografico di sapore quasi domestico, empatico verso il mutevole che ci travolge e si lascia travolgere, ci parla della possibilità di instaurare un intreccio tra un piacere inaspettato, la compilazione di un diario, oppure un gioco improvvisato tra libere emersioni della memoria, e chissà quanto altro ancora.

Nell’ambito del Festival martedì 14 giugno presso lo spazio ‘la Feltrinelli’ (ore 17:30) ci sarà un incontro in cui interverranno oltre a Maripol anche Glenn O’Brien, Céline Danhier e Amos Poe. 

In tale occasione avremo modo di conoscere quali legami si sono stretti tra il cinema e la scena musicale underground con base nella Lower East e a Soho. Va ricordato infatti che nel 1980 viene girato il film ‘New York Beat’, ma presentato a Cannes solo nel 2000 col titolo ‘Downtown 81’, diretto da Edo Bertoglio, scritto da Glenn O’Brien e prodotto da Maripol. Si tratta di un affascinante spaccato sulla quotidianità e il degrado della downtown di quei giorni, interpretata da un Jean-Michel Basquiat che non ha ancora raggiunto la popolarità, ma anche da quanti la popolano e la rendono culturalmente vitale, nonostante aleggi una sensazione di nonsense generale, che i personaggi e le loro vite tentano di arginare al fine di raggiungere una soluzione alla precarietà e al caos segnico che li circoscrive. Questo risultato cinematografico ci testimonia quanto Maripol sia stata a contatto anche con la scena musicale della No Wave di New York, quindi di quei gruppi che si esibivano al Mudd Club, all’Artist Space, al Kitchen, al CBGB’s, al Max Kansas City, ecc. Una ‘Blank Generation’ che ha reso possibile l’ingresso nei live shows della performance art e del frastuono come pratica comune. Diventa infatti componente fondante il ricorso a rumori e a dissonanze feroci nella trama esecutiva, disintegrando le precedenti costrizioni melodiche, tonali, e in alcuni casi anche ritmiche, tipiche del rock.

Tramite il suo lavoro Maripol è riuscita a fare emergere una diversa mappa di quelli che sono stati gli anni Ottanta, scavalcando il cliché di un omogeneo mainstream vacuo e prevedibile, evidenziando piuttosto quelle realtà che hanno convissuto e che hanno contribuito a porre le basi, seppure assai diversificate, di uno svolgimento culturale ancora in atto.

Il suo contributo è anche documentato dal recente libro autobiografico Little Red Riding Hood, edito da Damiani, che attraverso una dettagliata documentazione fatta di disegni, appunti, collage e foto ci  svela un intreccio esclusivo di temi e soluzioni, testimonianza di una personalità e di un’epoca che lasciano tracce ancora riscontrabili nelle attuali manifestazioni artistiche e dello spettacolo, un approccio in grado di sublimare i confini della comunicazione sempre in continua accelerazione.

a cura di giovanni ciucci

dal 10 al 20 giugno 2011

Maripol, mostra fotografica My Eighties

Bio Parco (Parco del Cavaticcio) Bologna

all’interno della programmazione del Biografilm Festival 2011

www.biografilm.it info@biografilm.it

[exibart]

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