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A Guarene riapre Palazzo Re Rebaudengo, nel segno della fotografia
Fotografia
Grande festa a Guarene – sui colli del Roero in provincia di Cuneo – lo scorso fine settimana, per la riapertura di Palazzo Re Rebaudengo.
A dirla tutta, in realtà, il Palazzo dove è nata la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo nel 1995, non è mai stato chiuso (al suo interno sono continuate ad essere allestite le opere della collezione, e su appuntamento è sempre stato aperto al pubblico), anche se l’ultima mostra effettiva a Guarene risale al 2011.
Stavolta, invece, alle pareti della tenuta di Palazzo Re Rebaudengo si possono vedere gli scatti del progetto “Da Guarene all’Etna”, che dal 1999 porta in scena le immagini realizzate da giovani fotografi italiani che hanno lavorato in lungo e in largo nella penisola (e non solo), ispirati dal “Viaggio in Italia” di Luigi Ghirri.
Sotto la cura di Filippo Maggia (dalla sua prima edizione), per questo ventennale si sancisce anche la partnership con la Fondazione OELLE Mediterraneo Antico di Catania, dove la mostra approderà il 21 febbraio 2020.
Un viaggio lungo otto edizioni, che ha toccato innumerevoli punti del globo, stavolta attraverso l’obiettivo di Paola De Pietri, Tiziano Rosso Mainieri, Carmelo Nicosia, Luca Campigotto, Antonio Fortugno, Claudio Gobbi, Elisa Crostella, tra gli altri, per un totale di 25 artisti.
Alcuni, invece, come la giovane Paola Pasquaretta (1987) non si sono soffermati tanto sul paesaggio geografico quanto sulla “geografia delle intenzioni umane”: con l’affascinante serie My baby shot me down, quasi uno slow motion di una ragazza che in dieci passaggi si trasforma dall’essere un semplice “ritratto” a tiratore scelto, riflette sul percorso per arrivare a ottenere un documento che permetta, e attesti, la capacità di prendere una decisione violenta: chi, a cosa, quando, e perché sparare.
Sulla natura dei calanchi della Basilicata e di una profonda luce interstiziale accecante come è accecante l’esterno illuminato dal pieno sole di queste affascinanti erosioni geologiche si sofferma l’occhio di Tiziano Rosso Mainieri, mentre Claudio Gobbi indugia sugli elementi che permettono una visione di quella che è la “persistenza della memoria” in alcuni luoghi determinati, come i teatri, che negli scatti privi di ogni forma di pubblico di Gobbi diventano un’architettura che narra di simboli di cultura, tradizione, storia e stile quasi universale, attraverso tendaggi, poltrone, corridoi, piccoli palchi.
Elisa Crostella, nata nel 1992, utilizza invece la metafora visiva del vulcano come collegamento tra inconscio e “veglia”: il camino attraverso il quale risale la lava diviene bruciatura della pellicola, abrasione, misterioso magma rosso del risveglio in un tempo e in un luogo puramente mentali, astratti, in cui il titolo della serie, Into the crater, è uno dei pochi indizi che ci permette di conoscere il “soggetto” della ripresa.
Immagini nate invece da una “lettura musicale” sono quelle di Border Soundscapes di Pino Musi; una partitura architettonica razionalista nata dalle note di Morton Feldman, che dopo l’incontro con John Cage – negli anni ’50 – iniziò a strutturare la sua musica su altre forme di notazione, per poi tornare alla tradizione del pentagramma (per evitare fraintendimenti di improvvisazioni) e considerato il padre della musica minimale.
Infine Giovanni Troilo (1977) che nella sua Puglia – tra Foggia e San Severo – ha ritratto quella che viene definita una “città pieghevole” e senza nome, che si allarga o si stringe in base all’arrivo dei migranti dell’Africa subsahariana sfruttati durante il periodo di lavoro nei campi. Una presa di coscienza sulle “folding cites” di cui l’Italia non è esente, ma che restano invisibili se si esclude qualche passaggio nella cronaca, talvolta solo locale.
E se con gli scatti il tragitto da Guarene all’Etna si fa più sottile, non dimenticate che a pochi passi da Palazzo Re Rebaudengo è iniziato un programma fortemente voluto da Patrizia Sandretto: con una commissione annuale a partire da questo 2019 le colline intorno al centro di Guarene si riempiranno di opere pubbliche che entreranno a far parte del paesaggio del Roero.
Primo protagonista è il canadese Paul Kneale (1986), che ha svelato la sua installazione luminosa (collocata sulla collina di San Licerio) lo scorso sabato, con tanto di taglio del nastro da parte delle autorità.
E così questa affascinante area del Piemonte, tra vigneti di Nebbiolo, castelli e sagre che richiamano migliaia di visitatori, si arricchisce di arte che cambierà un poco il nostro “paesaggio italiano”.
In attesa del prossimo viaggio. E di scoprire, negli spazi di via Modane, l’intervento – in tutti gli spazi della Fondazione – di Berlinde de Bruyckere. Opening durante la settimana di Artissima.