Un viaggio nel viaggio, a metà strada tra etnologia ed ecologia: così si presenta la sua nuova mostra “Amazônia” curata da Lélia Wanick Salgado e visitabile al MAXXI di Roma fino al 13 febbraio 2022. Circa 200 scatti di attivismo fotografico, che attraverso l’occhio di Sebastião Salgado ci svelano un mondo lontano e fiero, spesso dimenticato e maltrattato.
Come è noto la foresta amazzonica è un patrimonio naturale inestimabile da cui dipende l’intera esistenza del nostro pianeta. L’Amazzonia genera pioggia, raffredda la terra, assorbe gas serra e custodisce il dieci per cento della biodiversità animale. Tuttavia negli ultimi anni la deforestazione ha raggiunto livelli record in Brasile, segnando nel 2019 un aumento di quasi il 10% rispetto all’anno precedente. Le attività umane intensive interferiscono con i cicli naturali e logorano interi ecosistemi.
Chi studia l’Amazzonia sa che stiamo drammaticamente raggiungendo un punto di non ritorno. Basti pensare che la foresta pluviale amazzonica ha iniziato essa stessa a contribuire al riscaldamento globale. Disboscando, incendiando, costruendo bacini idrici o estraendo risorse dal suolo, si riducono le sue capacità di assorbire, trattenere e compensare l’anidride carbonica, aumenta il calore, si rilasciano gas e si evidenzia sempre di più la minaccia della cultura moderna. “Amazônia” è allora un grido di allarme, affinché lo sviluppo non sia sinonimo di distruzione, ma venga rivisto in un’ottica di preservazione delle bellezze naturali.
La fotografia di Sebastião Salgado è difficile da definire, inquadrare o spiegare, va piuttosto esperita. Come dichiarato in conferenza stampa dalla moglie e produttrice cinematografica Lélia Wanick Salgado – lo scorso 30 settembre 2021 nella Sala Auditorium del MAXXI – «una mostra fotografica è l’espressione visiva di un’idea, una rappresentazione pensata per convogliare un punto di vista. Sin dal momento della sua ideazione c’era l’intenzione di inserire tante immagini insieme e di mantenere lo spazio quasi completamente al buio. L’obiettivo era tirare fuori la potenza di questi luoghi. Ho lavorato molto sui testi e sulle didascalie. Poi una notte, nel sonno mi è stato tutto più chiaro. Al risveglio, mi sono messa a disegnare l’allestimento, volevo che gli spettatori entrassero fisicamente nella foresta, incontrassero le comunità, fondendosi insieme. Volevo portare le persone nelle loro case, tra le montagne, nella foresta, nei fiumi e suoni dell’Amazzonia. Volevo che tutto fosse vivo e che si delineasse una sorta di viaggio di esplorazione per il visitatore».
Per quanto inverosimile possa sembrare poter pensare di riprodurre le sensazioni che si provano quando ci si trova nella foresta pluviale, l’alone di magia realizzato negli spazi del MAXXI è tale da generare un’immersione fortemente evocativa. L’uso della bicromia genera un racconto epico della natura, in cui le direttrici di spazio e tempo si confondono. Nello scatto di un attimo coesistono millenni di ere geologiche in rapporto agli uomini e alle specie animali, dando origine a un presente che supera la distanza longitudinale per avvicinare la magnificenza di un mondo incontaminato all’incoscienza dell’uomo metropolitano.
La mostra «manifesto di ciò che resta» e frutto di sette anni di spedizioni dell’artista – realizzata in collaborazione con Contrasto – è letteralmente divisa in due parti. Da una parte le fotografie sono organizzate per ambientazione paesaggistica, si possono ammirare panoramiche e visioni dall’alto, una fitta vegetazione tropicale interrotta dalle linee sinuose dei corsi d’acqua, i preziosissimi “fiumi volanti” che rendono la foresta amazzonica l’unico luogo al mondo la cui umidità aerea non dipende dall’evaporazione degli oceani, ed ancora, la rappresentazione della forza delle piogge e le incantevoli forme degli isolotti sulle acque del Rio Negro. Una seconda parte invece è dedicata alle persone di questi habitat. Ritratti di diverse e antiche popolazioni indigene, che solo un fotografo attento e scrupoloso nello stabilire relazioni empatiche con i soggetti sa ottenere.
Nel percorso espositivo infine, le fotografie sono poste a diverse altezze, presentate in vari formati e organizzate in spazi che ricordano le tipiche “ocas” indigene. Ma a offrire le chiavi per aprire le porte di un’Amazzonia che seppur lontanissima è presente quasi fisicamente, è la composizione musicale realizzata da Jean-Michel Jarre. Un inciso di 52 minuti che – grazie all’utilizzo di strumenti orchestrali uniti a suoni della vita reale – riproduce i rumori della foresta, il canto degli uccelli, i versi degli animali e il fragore dell’acqua che cade a picco sulle montagne.
Alla potenza emotiva, alla nitidezza estetica e alla cura del dettaglio del fotografo, si unisce così l’impegno di un’istituzione museale per «un’iconografia da salvare». Per questo “Amazônia” come affermato da Giovanna Melandri, Presidente della Fondazione MAXXI, «per tutta la sua durata, sarà animata da conferenze, scambi e da un ricco programma di incontri per approfondire questi temi. Vogliamo stimolare riflessioni poiché siamo un’istituzione di ricerca e come tale vogliamo produrre atti di militanza e di dibattito».
Tra gli ospiti più attesi del programma c’è il Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, al quale Giovanna Melandri, a seguito delle commoventi dichiarazioni di Salgado, per cui «una società si compone di una quantità enorme di attività e di variabili, perciò è necessario che queste procedano di pari passo e che il mondo della politica partecipi attivamente a certi temi» ed ancora «si cercano aiuti, anche questo è anche il mio lavoro. I capi tribù dell’Amazzonia sono leader politici che vanno ascoltati. Sono tutti molto consapevoli di cosa vogliono. Le donne Indios sanno di essere le vere depositarie della cultura e delle tradizioni di queste terre. Vogliamo che siano rappresentate e tutelate, perciò stiamo lavorando per accreditarle a COP26», ha asserito di chiedere formalmente al Ministro Cingolani «di accogliere un rappresentante, o meglio ancora una o più donne, delle comunità indigene nella propria delegazione. Questa mostra è e deve essere un manifesto politico».
Quella del MAXXI è dunque un’occasione imperdibile per essere un’officina di futuro e di pensiero, per rilanciare e raccogliere le volontà di denuncia mirabilmente espresse dall’artista e dalla moglie Lélia, impegnati da anni nella sensibilizzazione del pubblico e in opere di riforestazione nel sud-est del Brasile. Nel 2019 infatti, insieme a Zurich Insurance Group – partner globale della mostra – la coppia ha dato vita al progetto “Zurich Forest”. Da allora circa due milioni di alberi, di oltre 300 specie diverse, sono state piantante con l’obiettivo di provare a respirare meglio e nutrire speranze per il futuro. «Un gesto simbolico per partecipare alla lotta ai cambiamenti climatici» sostiene Alessio Vinci, Group Chief Communications Officer di Zurich. Una dichiarazione di ambizione e di impegno, che come specificato da Roberto Koch, editore di Contrasto è «un sogno importante e collettivo», una lungimirante proiezione in un futuro possibile e una battaglia di civiltà nella quale si sovrappongono diritti e doveri dei cittadini di più Paesi, fedi, idiomi, generi, latitudini e tradizioni.
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