«Io e Alessio Bolzoni ci conosciamo e ci confrontiamo da tempo, uniti da un comune sentire e affetto. Viviamo più o meno la stessa attrazione per la liminarità del corpo, per la sua compenetrazione tra Leib e Körper, per la sua rappresentazione e autorialità. Il Billboard Project è nato proprio da questo assunto. L’alienazione del corpo, la sua forzata distanza dall’Altro assieme alla sua improvvisa rischiosità sono stati gli elementi che ci hanno fatto riflettere su un intervento pubblico, appena le condizioni sanitarie e pubbliche lo avrebbero consentito. Oltre al fatto che sia io che Alessio non abbiamo vissuto la quarantena come uno spazio di sospensione ma di attività teorica e progettuale. Inoltre abbiamo voluto fare un omaggio a Milano, città che entrambi adoriamo e che è stata fortemente colpita dalla pandemia ma sulla quale scommettiamo il suo riscatto. Il billboard come spazio relazionale urbano, diffuso e incondizionato è la strategia potente che l’opera d’arte può ritagliarsi. Io ho sempre amato la sua intrusione nello spazio cittadino, da Felix Gonzalez Torres in poi. Per me è uno spazio di guerrilla intellettuale. Da parte di Alessio c’era come una urgenza morale di intervenire espressivamente e da parte mia, azionando un dispositivo post-situazionista, vi era la forte esigenza di mettermi in gioco in senso civico e teorico oltre che curatoriale».
«”Action Reaction” è un excursus di corpi, perturbativamente, in atto. Una fenomenologia di azioni corporee, di tableaux vivants quasi, che esprimono la difficoltà ma non l’impossibilità di esperirsi e dislocarsi nella realtà che Alessio ha realizzato con genialità. È la dimensione sconveniente che il corpo affronta in questo contesto. Non è un corpo spaurito quello fotografato da Alessio, piuttosto è un corpo condizionato, frenato, che riemerge dal suo avviluppamento per riaprirsi, ricollocarsi, ripensarsi e riscriversi. Come è nell’idea di tutti noi, spero. È questo impulso vitalistico che “Action Reaction” intende innescare».
«Alessio ha un lavoro sofisticato, seriale, che affronta varie dimensioni della soggettività e varie coniugazioni dell’esistenza. Mi ha sempre affascinato la finezza intellettiva con cui attraversa, da anni, il concetto di vulnerabilità, di oscillamento, di abuso e di caduta. Enunciazioni centrali che rientrano nell’analisi psicoanalitica e che processano l’interiorità, la sua densità molecolare direbbe Gilles Deleuze. Alessio lo fa dislocando i concetti per sottrazione, in una forma minimal e allusiva».
«L’arte pubblica ha un senso precipuo che è quella di legarsi al respiro della città, di sollecitarne l’energia identitaria e sintetizzarla in sintagmi a cui possono accedere, tutti i cittadini, con la propria percezione e fruizione. Sempre. Questo ovviamente scavalcando ogni intento celebrativo, populistico o didattico. In qualche modo l’arte pubblica deve avere una funzione riflessiva e corrosiva altrimenti perde di senso. Ha anche delle valenze e modalità che sono generate dal contesto in cui si installa, non solo espletato e pilotato da bandi pubblici aleatori e astratti. La chilometrica scritta a caratteri cubitali Black Lives Matter che la sindaca di Washington, Muriel Bowser, ha fatto verniciare sulla 16esima Strada, e che si estende per due isolati di fronte alla Casa Bianca, in omaggio al movimento di protesta esploso soprattutto dopo l’omicidio di George Floyd, è un atto civico contro il razzismo ed è allo stesso tempo un atto espressivo politico ed estetico. Io intendo questo per arte pubblica».
«Forse la deluderò ma non ho delle risposte esaurienti. Nel tempo eccezionale della quarantena io mi sono rifugiata (sia pure con lo struggimento per i troppi morti che abbiamo avuto) in una interzona, prefigurata dal cyberpunk in qualche modo. Ballardianamente mi sono adattata, come nel libro Il condominio, seguendo rigorosamente le norme imposte dal governo, rendendomi produttiva e di aiuto in casi di necessità, e ho continuato a lavorare speditamente alla luce della dimensione fisica restrittiva. Da questa zona d’ombra ho seguito l’interconnessione martellante dei media attraverso cui, la mutazione del presente si concretizzava quotidianamente sui nostri corpi. Miriadi di iniziative certo, in cui la sfida più grande, mi è sembrata quella di combattere una certa invisibilità, un senso esacerbato di tradurre il distanziamento fisico in una esasperante presenza digitale. Troppo. Inoltre non avevo nessuna intenzione di seguire pedissequamente tutto il rizomatico mondo e meta-mondo dell’arte, fatti e misfatti. Ho condiviso questo tempo speciale con me stessa, elaborandomi, come diceva Adrian Piper, e sfruttando gli orizzonti di riflessione, i flash immaginari, devianti, anti-retorici, lisergici che pure mi son venuti dall’esterno, artisti certo, amici. Ho frequentato molto, devo dire. In questo frangente, ho apprezzato la performance di Nico Vascellari, per esempio, i modi, i tempi e, certo lo sforzo fisico, con cui è stata realizzata. È l’unico evento che mi solleva dallo stress digitale.
Seccamente rispondo alle altre tue domande: detesto le mostre online. Apprezzo, perché no?, gli artisti che si donano in aste, donazioni o che dir si voglia. In ultimo, ahimé, credo l’arte nel suo intero sistema abbia la stessa funzione e pervasività all’interno della società, di prima. Una nicchia che è rimasta tale, soprattutto perché rinchiusa essa stessa, nella sua circoscritta enclave digitale».
«Non so prefigurarle il futuro, certo è che servirebbe un grande ripensamento e un grande slancio di rinnovamento nei ruoli, negli spazi, nelle persone, nelle politiche e nei lessici con cui affrontare collettivamente la responsabilità di produrre cultura. Non basta riaprire gli spazi. Ma ho la sensazione, e spero di sbagliare, che dopo il grande afflato emergenziale, tutto voglia riconfluire sistematicamente nell’inadeguatezza, incompetenza e ingenuità del passato, riaffondare nelle debolezze, insostenibilità e nelle solite relazioni e giochi di potere. Una noia! Ma ovviamente, ripeto, spero di sbagliarmi».
«Il suo lavoro spazia dalla commercial photo a una ricerca artistica cominciata nel 2010. Anno in cui ha dato il via a una serie di sperimentazioni della rappresentazione della figura umana, esplorando il concetto di movimento nello spazio da diverse angolazioni prospettiche. Il modus operandi di Bolzoni inizia sempre da una intuizione artistica con la quale sviluppa nuovi metodi rappresentativi e nuovi tematiche. Solo a questo punto le innovazioni visuali vengono declinate in forme che differenziano le esigenze commercials o le urgenze dell’indagine artistica, mantenendo tra i due ambiti una visibile uniformità estetica e concettuale.
Ha pubblicato i libri Abuse nel 2016 e Abuse II – The Uncanny nel 2018, entrambi self-published.
Alessio Bolzoni vive a Londra ma ha scelto di passare la quarantena a Milano, città in cui e per cui ha concepito il progetto “Action Reaction. Billboard Project”», ha spiegato l’organizzazione.
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