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Amburgo è fotografia
Fotografia
Moneta, valuta, bene materiale, circolazione, distribuzione, negoziazione, diffusione, merce di scambio: è pressoché impossibile dare una definizione univoca al termine inglese currency. E il compito si fa ancora più arduo quando viene adottato come tema di una triennale, facendolo transitare dall’economia all’arte e, nello specifico, alla fotografia. Si presta ad abbracciare e toccare molti aspetti della contemporaneità, ma il campo d’indagine rischia di essere troppo esteso. La direttrice artistica dell’ottava edizione della Triennale di fotografia di Amburgo Koyo Kouoh — insieme al suo team curatoriale, tutto al femminile e, come ha puntualizzato la curatrice in un’intervista nel dossier stampa, non-binario, composto da Rasha Salti, Gabriella Beckhurst Feijoo e Oluremi C. Onabanjo — ha voluto correre il rischio.
“Ho sempre più guardato alla fotografia — racconta Kouoh— come a un mezzo di negoziazione, circolazione e traduzione. Discutendo il tema col team è diventato chiaro che la fotografia ha acquisito un tipo differente di “currency” in particolare nella nostra era “retinica”, vale a dire è un mezzo di negoziazione e di scambio. È questa una delle ragioni per cui sono rimasta attratta dalla nozione di valuta e dalla fotografia come a una sorta di materiale transazionale”. Però ciò che emerge dalla mostra, fulcro della triennale, dal titolo “Currency: Photography Beyond Capture”, ospitata negli spazi della Deichtorhallen Hamburg: Halle für aktuelle Kunst, non è tanto un’indagine sul mezzo fotografico oggi, bensì un’occasione per toccare temi ormai largamente indagati: identità, globalizzazione, colonizzazione culturale, capitalismo, confinamento, militarizzazione territoriale, proteste per i diritti, invisibilizzazione, fluidità di genere. La fotografia diventa solo uno dei tanti mezzi che molti degli artisti invitati usano nella loro pratica: dai ritratti sfuocati in cerca di identità di Mame-Diarra Niang alle immagini intime di una comunità queer di colore ritratta da Clifford Prince King, tra il 2017 e il 2020 a Los Angeles, agli scatti delle proteste di Hong Kong di Paul Yeung che ha deciso di puntare l’obiettivo non sui manifestanti ma sulle forze di polizia. O ancora gli slogan e le vignette di Oroma Elewa e il suo gruppo fittizio di “donne diasporiche africane intergenerazionali” o la gigantesca composizione di lightbox di Alfredo Jaar in cui l’artista ha accorpato piccole immagini di oltre 2000 copertine di “LIFE” in ordine cronologico, dall’anno della sua fondazione, per testimoniare il fatto che, di copertine, al continente africano, la rivista ne ha dedicate meno di una dozzina. Più che guardare al presente e al futuro, la mostra sembra essere ancorata al passato e, come detto, circumnaviga temi che già da tempo sono nell’agenda di molti curatori internazionali che prediligono un approccio all’arte più etnografico, antropologico, sociologico, politico e concettualmente reboante.
Si respira tutt’altra aria alla Hamburger Kunsthalle, istituzione che, tra gli altri, conserva il celebre dipinto Il Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich. Qui, una piccola mostra ma ben congeniata, allestita nelle sale al piano superiore della galleria di arte contemporanea, interpreta bene il tema e in chiave più attuale e sperimentale. Dal titolo “Give and Take. Images upon Images”, la collettiva offre uno sguardo contemporaneo sulla fotografia, sulla sua produzione e sul concetto stesso di rappresentazione. Qui la fotografia racconta il processo irreversibile della sua ridefinizione, di quanto il digitale abbia trasformato e influenzato il fare e la diffusione globale e istantanea della fotografia. Di quanto, a seguito della digitalizzazione, le immagini abbiano guadagnato un’importanza e un’influenza enormi e di come queste circolino e superino istantaneamente confini culturali e sociali. Dalle tracce inconsapevoli lasciate dalla navigazione in rete nella cache dei nostri computer nell’installazione ambientale di Evan Roth al lavoro di archiviazione, classificazione e catalogazione di Taryn Simon, dalle cartoline in bianco e nero di Mathilde ter Heijne che combinano fotografie storiche di donne sconosciute a cui l’artista attribuisce biografie di donne più celebri, fino all’avatar nella videoinstallazione multicanale di Sara Cwynar. L’artista attraverso il suo archivio di screenshot, foto e video tenta di dare una definizione di sé alla luce del flusso senza fine di dati di immagini, ponendo l’attenzione anche sulla cultura del consumo e sull’iperproduzione visuale. Siamo nel campo della post-verità, del potere dei media e del digitale, degli algoritmi che assumono il ruolo di classificatori e delle reminiscenze di mezzi ormai obsoleti come le diapositive fotografate e ingigantite da Sebastian Riemer. Quelle diapositive, provenienti da archivi di storia dell’arte, sono state scartate nel processo di digitalizzazione perché inaffidabili, imprecise, coi colori e le attribuzioni didascaliche sbagliate. In questa mostra ad essere messo sotto la lente è il processo di produzione, scambio, appropriazione, archiviazione, circolazione e significazione del materiale visivo nella fotografia contemporanea.
La currency si fa urgente e vitale alla Kunstverein in Hamburg perché, qui, si parla di acqua, risorsa che nel prossimo futuro sarà, in assoluto, il bene più prezioso e merce di scambio, e non risparmierà guerre e carestie. Lo spazio ospita un progetto articolato e ben allestito dell’artista afro-americana LaToya Ruby Frazier: terzo atto di una serie di fotografie che documentano la crisi dell’acqua a Flint, a nord-ovest di Detroit, nel Michigan cominciata nel 2014 e ancora in corso. Tutto nasce da un viaggio che la fotografa intraprende in quell’area per conto di “ELLE” magazine. Da quel momento, non ha smesso di documentare gli effetti della contaminazione dell’acqua da parte delle infrastrutture cittadine sulla comunità dei residenti. La serie mostra anche le fotografie dell’arrivo di un generatore atmosferico d’acqua, che si fa totem, di oltre 11mila chilogrammi nel 2019 che l’artista stessa ha contribuito ad avviare.
Altre istituzioni hanno deciso di celebrare fotografi originari di Amburgo. Il Bucerius Kunst Forum, a due passi dal centralissimo Municipio, dedica al fotografo Herbert List un’imponente retrospettiva — con più di 240 stampe vintage e alcune fotografie di reportage raramente esposte — che, in un allestimento rigoroso, ripercorre la sua intera produzione fotografica, attraverso alcuni macro temi: dalla fotografia metafisica al lungo periodo trascorso in Grecia o in Italia. Di Herbert List si occupa anche il Museum für Kunst und Gewerbe Hamburg con una piccola mostra dedicata a un progetto di libro mai realizzato dal fotografo — ora prodotto, stampato e distribuito per la prima volta — e a una serie di fotografie dedicate al museo delle cere di Vienna e alla fascinazione di List per i manichini, le statue di cera e i giovani uomini. La Falckenberg Collection, ad Harburg a sud di Amburgo, celebra la fotografa di moda Charlotte March con una selezione di oltre 300 scatti vintage, parte di una collezione che vanta più di 30mila provini. La mostra si sviluppa su due piani dell’immenso edificio industriale riconvertito: molti gli shooting di moda per la celebre storica rivista tedesca “twen”, le testimonianze dei suoi incontri, del suo viaggio a Ischia e Procida negli anni Cinquanta e gli scatti dedicati a Donyale Luna, riconosciuta come la prima top model di colore al mondo. Il terzo e il quarto piano ospitano invece una parte della vasta collezione dell’imprenditore e colto mecenate amburghese Harald Falckenberg: una raccolta non convenzionale, irriverentemente coraggiosa, con una predilezione per le opere di grandi dimensioni, la maggior parte delle quali conservate in un hangar vicino all’aeroporto cittadino.
L’ottava triennale di fotografia include anche un festival dal titolo “Photography: The Register and the Recital” che si tiene dal 2 al 6 giugno 2022. Le istituzioni coinvolte presentano un programma pubblico di performance, proiezioni di film, incontri con gli artisti e workshop. In contemporanea si tiene la Triennial Expanded, piattaforma diffusa per tutta la città, in gallerie private e spazi d’arte, con decine di mostre satelliti. È il frutto di una open call aperta nell’autunno del 2021 per la quale fotografi, artisti, curatori e collettivi di Amburgo hanno proposto progetti, di cui, il team curatoriale di questa edizione della Triennale, ne ha selezionati dodici.
Per le informazioni sulle 12 mostre (con orari e chiusure diverse) della Triennale di fotografia, in corso fino al 18 settembre 2022, e per il programma degli eventi cliccate qui.