È un viaggio nel territorio della Charente Maritime ad aver ispirato la mostra fotografica Atlantique. Frammenti di un sentimento oceanico di Marco Rinaldi e Paola Setaro, fruibile presso l’Associazione TRAleVOLTE di Roma, fino al 12 aprile 2024. 25 scatti in bianco e nero e quattro occhi sovrapposti ritraggono i luoghi incontrati, non con distacco o intrusiva curiosità, quanto piuttosto con un pudico rispetto dell’istante, nudo come si presenta. Nel piano di far rientrare, in punta di piedi, ogni visione entro geometrie chiaroscurali simmetriche e al contempo spontanee. Ogni landa o scorcio cittadino immortalato galleggia, franto, sul pelo di una trama visiva variabile. E che tuttavia, quietamente, sembra volgere a una stasi almeno apparente.
Le fotografie di Atlantique vogliono essere testimoni di un moto dell’animo che ha colto i due fotografi e storici dell’arte durante il proprio itinerario. Si tratta di quell’intimo sentire indagato da Freud ove «Il soggetto si trova in una condizione divina di indistinzione con il “tutto”, con l’universo infinito, così come con il vecchio padre oceano». Un senso centrifugo di indissolubile legame con la totalità del mondo esterno.
Non è un caso, infatti, che Rinaldi e Setaro abbiano scelto di dedicare queste fotografie “A ciò che resta fuori dal paesaggio”. Nulla va perduto, tutto si appartiene, e quel che non entra nel riquadro dell’immagine è comunque tenuto in considerazione, poiché esistente.
«Il “nostro” sentimento oceanico – si legge lungo il percorso espositivo – si è rivelato durante un viaggio attraverso un breve tratto di costa atlantica francese, dove siamo stati rapiti da un paesaggio continuamente mutevole, in cui la terra, l’acqua e il cielo si abbracciano. Questo paesaggio poteva essere colto solo per frammenti». Una coppia di osservatori in cammino, colti dalla medesima sensazione estatica, da cui anche il riferimento del titolo al noto saggio Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes. La presenza umana è flebile e quasi scompare dietro ai vetri di una finestra o si dissolve nel panorama. Spiagge, palazzine deserte, giardini si alternano in guisa di emersioni di coscienza.
Accompagnano le fotografie alcune brevi riflessioni, in un connubio fra immagine e parola, caro ai due fotografi. In mostra si legge ad esempio: «Il blu resta lì. Come un discorso dimenticato»; «L’incanto di una strada cieca, abisso affidato al mistero»; «L’odore dell’oceano rimane». Spunti riflessivi raccolti nel catalogo, introdotto da un testo di Rossella Caruso. Le fotografie si fanno dunque equivalente immaginatorio di una pratica di scrittura che nella parola vede una materia fluida nella quale abbandonarsi.
Nell’esperire la mostra si evince che ne è protagonista un gioco di contrasti molteplice: la visione è ancipite ma univoca; l’immagine è ferma ma dinamica; la percezione dell’io sfocia nell’olismo; c’è una soggettività distaccata. Il duplice tessuto fotografico e lessicale di cui la mostra si permea, nella misura in cui deborda in esiti oggettivanti, perde volutamente concisione; ogni cosa è colta come sfumata e in divenire.
Soffermandosi sugli scatti si coglie il desiderio di un abbandono, di una deriva dal sapore di libertà. E ciascuna fotografia può essere l’inizio o la fine di un racconto. Cosa accadrà un momento dopo in quel prato immobile? Chi è la donna che cammina sulla sabbia? A cosa pensa? Da dove arriva e dove sta andando?
Ogni dubbio si dissolve nell’immagine forse più rappresentativa della mostra: una porta di legno si erge in mezzo al nulla sulla riva, chiunque la ritrovi e la varchi, è accolto da un saluto dell’oceano Atlantico.
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