Nan Goldin irrompe sulla scena artistica londinese con Sirens, un’edizione rinnovata del suo diario di vita, riaccendendo la memoria sul lavoro storico con il quale ha documentato e celebrato la vita delle comunità queer e degli emarginati di tutto il mondo. Composto da diversi lavori tratti dalla storica Ballad of the sexual dependency, Sirens approda alla Marian Goodman Gallery di Londra, presentando tre opere di Goldin mai viste prima, oltre a fotografie formative più antiche. Il titolo della mostra è dunque un rimando al fulcro dell’esibizione: un video che, nel doloroso tributo alle vite perse, richiama con urgenza a una presa di coscienza.
Nan Goldin si è sempre distinta, oltre che per la brillante carriera artistica, anche per il forte attivismo militante nella lotta del diritto alla vita. Si è recentemente resa protagonista di una protesta contro l’etica discutibile delle grandi aziende che donano fondi al Victoria & Albert Museum di Londra. Il museo, infatti, ancora oggi accetta donazioni provenienti da fonti controverse. In questo caso, l’azienda donatrice è la Purdue Pharma, responsabile della produzione e distribuzione dell’OxyContin, un antidolorifico ritenuto tra i maggiori responsabili della crisi degli oppiacei.
L’attenzione che l’artista rivolge all’argomento è indubbiamente segnata dalla grande sensibilità con la quale, per tutta la sua vita, si è rivolta ai problemi di fragilità e dipendenza.
Dagli anni ’70 infatti, Goldin documenta la vita di amici, parenti e di tutte le personalità eccentriche che ruotano nella sua orbita con franchezza contusiva.
Nei suoi lavori esplora la tossicodipendenza con uno sguardo candido, imparziale, ma profondamente empatico, lasciando emergere l’estetica ribelle e dolorosa che impregna la lotta delle comunità outsider di tutto il mondo per garantirsi il diritto ad una vita pienamente libera.
L’opera in mostra e tutto il percorso espositivo riflettono sulla dicotomica alternanza fra l’oscura dipendenza e una libertà straziante e mai reale, temi che hanno orientato il lungo viaggio della vita dell’artista. Giocando a rotazione con Memory Lost (2001), Sirens identifica l’attrazione ipnotica delle creature mitologiche con il fascino di essere altro, legando però l’irresistibile richiamo della dipendenza a una logica di avvertimento.
Sirens, lavoro in mostra a Londra fino a gennaio 2020, costituisce forse l’opera più esperienziale della carriera artistica di Goldin. A partire dal piano inferiore, che ancora presenta i lavori fotografici degli anni ’70 dedicati alle donne trans e alle drag queen, si passa per i nuovi lavori che evocano un’esperienza sensuale e mistica, fino ad arrivare all’ultimo piano: immagini di cieli in cambiamento lasciano che lo sguardo passi oltre al dolore terreno.
In un momento in cui più che mai è necessario mostrare la fragilità e la complessità delle identità che colorano la ricchezza delle realtà subalterne, comunità da sempre lasciate al margine della società , la sensibilità di Nan Goldin travolge ancora una volta con la sua potenza.
Il nuovo lavoro si inserisce perfettamente nel nostro tempo, consolidando una lotta artistica e politica votata all’elogio delle vite. Certo è che, grazie ai suoi lavori, come lei stessa ha dichiarato per il testo del video The other side, «L’invisibile è diventato visibile».
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