Aperta al pubblico fino al 14 ottobre, “Esplosioni di luce – Chernobyl Herbarium”, è la prima mostra personale in Italia dell’artista francese Anaïs Tondeur, presentata alla Spot home gallery di Napoli. Protagonista dell’esposizione è una raccolta di immagini di varie specie vegetali che crescono nei terreni radioattivi della “Zona di Esclusione” di Chernobyl, l’area contaminata a seguito dell’esplosione avvenuta il 26 aprile 1986.
La summa di opere, che nasce dal sodalizio creatosi tra l’artista e il filosofo ambientalista Michael Marder, è dettato dalla necessità di simbolizzare l’evento, riflettere su di esso e trovare un senso alla frammentazione della coscienza che questo ha generato. Una produzione ricca e densa, una riceva visiva e formale che si nutre della riflessione filosofica e che dona speranza, poiché sopravvive nel desiderio di coltivare un modo alternativo di vivere, che sia più in sintonia con l’ambiente, nonostante la tragedia.
Per accedere con profondità al loro lavoro, abbiamo rivolto alcune domande all’artista Anaïs Tondeur e al filosofo Michael Marder.
Chernobyl Herbarium è un progetto in itinere che si esprime attraverso un preciso medium artistico: il rayogramma. Come è nata l’idea di sfruttarne le potenzialità? Pensa che in futuro questo progetto potrebbe svilupparsi attraverso altre forme artistiche?
Anaïs Tondeur «Questo progetto nasce da una catena di incontri: un incontro con le piante che crescono nei terreni irradiati della Zona di Esclusione di Chernobyl, reso possibile dalla ricerca portata avanti da un gruppo di biogenetisti che studiano gli effetti della radioattività sulla flora; l’incontro col curatore Robert Devčić e l’invito a partecipare a una mostra sul tema del trauma; infine, l’incontro con il filosofo Michael Marder. Dal 2015 continuiamo a viaggiare assieme a queste piante radioattive. Gli stessi rayogrammi nascono da un incontro, quello delle piante con la superficie fotografica, l’unione del cesio 137 e dello stronzio 97 contenuti nel loro corpo con la lastra fotosensibile.
Sono approdata a questo processo fotografico memore di altre immagini prodotte dall’effetto di un’esplosione nucleare, l’immagine della distruzione stessa immortalata dalla bomba atomica sganciata su Hiroshima e Nagasaki, che nella sua esplosione ha catturato le tracce di chi – oggetti, uomini, piante – si è trasformato in cenere. Queste impronte, impresse sulle superfici di città bombardate o sulla carta fotografica, ci invitano a considerare l’atto stesso dell’esposizione, a metà tra il processo di distruzione e quello di rivelazione.
Chernobyl Herbarium scava in questa ambivalenza senza ovviamente ripetere la violenza di Hiroshima, Nagasaki o Chernobyl. Attraverso la mia pratica artistica non ritraggo l’orrore della distruzione, ma cerco di costruire uno spazio per le piante irradiate. Uno spazio per ascoltare la loro sofferenza muta. Uno spazio di consolazione. Spero un giorno di sviluppare questo progetto, con e tra i pini della Foresta Rossa di Chernobyl».
Qual è la più grande ambizione legata a questo lavoro di matrice artistico-filosofica?
AT «Il progetto si arricchisce di un nuovo frammento per ogni anno trascorso dall’esplosione del reattore n°4. Ogni frammento si compone di un rayogramma e di un testo scritto da Michael Marder, egli stesso esposto all’esplosione, sia nel corpo che nella vita. Attraverso la forma dei frammenti, cerchiamo di avvicinarci a quella che un liquidatore della centrale n°4 ha descritto come “un’esplosione di coscienza”. Un evento impossibile da rappresentare e da cogliere ma che necessita, con estrema urgenza, di riflessioni e significazioni, tenendo conto della coscienza che ha frammentato, con l’auspicio di coltivare “un altro modo di vivere, più in sintonia con l’ambiente”».
Il libro si configura come una vera e propria summa di elementi, in cui il pensiero filosofico e la produzione artistica si intersecano, continuamente, con una costante: le piante, un elemento di riflessione “insolito” in una società così spiccatamente antropocentrica. Come nascono la volontà e l’interesse di confrontarsi con questo elemento?
Michael Marder «Prima di Chernobyl Herbarium, ho scritto tre libri su piante e filosofia: Plant-Thinking (2013), The Philosopher’s Plant (2014) e, con Luce Irigaray, Through Vegetal Being (2016). La “vegetalità” è stata quindi una costante nel mio interesse filosofico e pratico, proprio nel senso di un’azione positiva che mirava non solo a smantellare il pensiero antropocentrico, ma anche a suggerirne un’alternativa, attraverso la coltivazione di sensibilità e conoscenza partendo dai semi vegetali che sono in noi.
In linea con il metodo fenomenologico, ho cercato di farmi guidare dal mondo vegetale stesso in questo tentativo. Ho avuto la straordinaria fortuna di incontrare l’arte di Anaïs Tondeur che, analogamente, lascia che siano le piante e gli altri protagonisti delle sue opere a parlare: muti, silenziosi, ma espressivi, con un eccesso di senso che non può essere macinato integralmente nel mulino dell’interpretazione. È quindi del tutto corretto suggerire che Chernobyl Herbarium sia un incontro tra arte e filosofia, tra autobiografia e storia recente del trauma ecologico, un incontro che parte e ritorna costantemente alle piante, che ci indicano modalità sempre nuove di relazione con noi stessi e con l’ambiente».
Chernobyl Herbarium mette luce su un evento accaduto 36 anni fa che tuttavia appartiene a quella che tutt’ora, alla luce degli ultimi avvenimenti, sembra essere un’attualità disarmante. Quale è allora la realtà alternativa verso cui si potrebbe tendere e a cui allude anche questo lavoro, nel quale la natura, in particolare le piante, sono l’elemento da cui poter ripartire?
MM «Senza dubbio l’evento di Chernobyl ha riacquistato centralità nel 2022. Gli effetti ambientali della fusione e dell’esplosione del reattore non si sono dissipati, la Zona di Esclusione intorno al sito del disastro rimarrà inabitabile agli esseri umani per migliaia di anni. L’occupazione militare e la sconsiderata messa in pericolo delle centrali nucleari di Chernobyl e Zaporizhzhya da parte della Russia acuiscono la minaccia di ulteriori conseguenze disastrose e incontenibili legate all’energia atomica. L’atomo “pacifico” e quello “militare” sono confluiti in questo luogo, saturo di una lunga storia di sofferenza, ben più lunga di questi ultimi 36 anni, come sottolineo nel mio libro.
La realtà possibile indicata dalle piante è un regime energetico alternativo che non ha bisogno di enucleare nulla, né di dilaniare il corpo della terra, né di scindere l’atomo. L’energia vegetale consiste nell’assimilare il dono della luce e del calore solare tramite le parti emerse dei corpi vegetali, energizzarsi aprendo sempre più superfici viventi – le foglie – a questo elemento altro, senza alcuna traccia di violenza.
Faremmo bene a imparare dalle piante questa modalità e pratica energetica, inscindibile da una determinata sinergia, sia sul piano delle nostre pratiche economiche, sia su quello politico della nostra esistenza umana».
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