Ancora pochi giorni per partecipare al bando per l’edizione 2021 dell’ISPA Award, il primo premio fotografico italiano dedicato sostenibilità. Ogni fotografia presentata deve raccontare i temi di sostenibilità ambientale, sostenibilità sociale e governance sostenibile.
ISPA Award è incentrato sui temi della sostenibilità ambientale, della riduzione dell’inquinamento e delle minacce contro la biodiversità, ma anche del rispetto dei diritti umani, culturali e sociali. L’obiettivo è infatti quello di pensare a una governance che sia in grado di costruire una catena del valore tra governi, aziende, associazioni e individui.
Paralellozero è l’agenzia fotogiornalistica che, in collaborazione con Pimco, ha colmato l’esigenza di un premio che raccontasse storie del progresso italiano verso un futuro più sostenibile. In questo senso, la fotografia è lo strumento chiave per veicolare il messaggio positivo di queste incredibili storie tutte italiane. Pimco, una delle principali società di gestione di investimenti obbligazionari al mondo, è main sponsor di questo progetto che pensa alle generazioni future riflettendo sui temi più delicati della nostra epoca.
La prima edizione, quella del 2020, il premio ha raccolto 250 partecipazioni da 16 nazionalità diverse, per oltre 1700 fotografie. Il bando mette in chiaro che ogni foto deve essere stata scattata sul territorio italiano. Ci sono tre categorie e tre diversi premi, tra cui un grant di 10mila euro per la produzione di un progetto fotografico completo. La seconda categoria invece si riferisce al Premio per la migliore foto singola, premiata con 1500 euro. Infine, c’è il premio per la migliore storia fotografica, al cui vincitore verranno assegnati 3.500 euro.
Le fotografie dei vincitori verranno esposte in una mostra che si terrà indicativamente da ottobre e novembre 2021. Presieduta da Tiziana Ferraro, la giuria è composta da Lars Lindemann, Luca Locatelli, Renata Ferri e Martina Bacigalupo.
Abbiamo raggiunto Davide Scagliola, Ceo di Parallelozero, per farci dire di pù sull’attività di Parallelozero e sull’importanza del linguaggio fotografico, per raccontare il nostro tempo.
Come inizia la tua carriera da fotogiornalista? Quando hai deciso che la fotografia sarebbe diventata anche il tuo lavoro?
«Beh in realtà io ho iniziato la mia carriera scrivendo, in primis, senza nemmeno considerare la fotografia come un’opzione…ho cominciato infatti come giornalista in quel di Torino, lavorando per i quotidiani locali. All’inizio mi sono occupato di musica e concerti, poi di cronache cittadine e turismo e infine cominciando a girare il mondo per le riviste di geografia e viaggi.
Nel frattempo mi sono avvicinato alla fotografia – che a quei tempi era ovviamente squisitamente analogica e tecnicamente impegnativa – arrivando ad organizzare la mia vita professionale su un livello continuativo di produzione di storie per i giornali con cui collaboravo all’epoca – Gulliver, Gente Viaggi, Dove, Panorama Travel, D/La Repubblica delle Donne, La Stampa, solo per citarne alcuni – che prevedeva testi e foto, racconti crossmediali si direbbe oggi, che interpretavano la realtà che vedevo durante i miei vagabondaggi; senza internet e senza Google Earth, era il solo modo per i lettori (e per noi) di scoprire la Terra.
Attraverso un’intermediazione d’autore – che io e molti altri colleghi gestivamo come una missione – viaggiavamo per il mondo, raccontando storie di luoghi e persone. Con il nostro stile di scrittura e fotografia, aiutavamo i lettori ad aprire gli occhi e la mente sulle bellezze e le stranezze del nostro pianeta e dei suoi abitanti. E’ stato un periodo lungo 15 anni davvero mirabolante. Poi – nell’ultimo pezzo della mia carriera – prima di prendere in mano le redini di Parallelozero come direttore – mi sono avvicinato anche al video come linguaggio evoluto del racconto. Ma ho preferito chiudere con le produzioni sul campo a un certo punto per dedicarmi alla crescita dell’agenzia.
Avevo viaggiato davvero tanto, forse troppo: in vent’anni avevo visitato più di 160 paesi, tornando in alcuni luoghi più volte, specializzandomi in storie di natura, avventura e ambiente. Ma a un certo punto ho detto basta. Ero felice e soddisfatto di quello che avevo vissuto sino a quel momento. Ricordo fra tutte un’epica trasvolata dell’intera Africa, da Cape Town a Il Cairo a bordo di due Cessna ad ala alta: due mesi di avventure aeronautiche che mi hanno permesso di scoprire e raccontare un continente straordinario. Vennero fuori numerosi reportage davvero belli che mi permisero poi di fare moltissime altre esperienze utili per il mio lavoro».
Tramite reportage, storie, mostre, progetti di storytelling visuale e volumi editoriali, oggi Parallelozero promuove il lavoro di circa cinquanta fotogiornalisti. Ci puoi raccontare la storia dell’agenzia e l’idea da cui è nata?
«La storia di Parallelozero è davvero semplice e unica allo stesso tempo. L’incontro di quattro professionisti innamorati del loro lavoro (io, Alessandro Gandolfi, Sergio Ramazzotti e Bruno Zanzottera), ha portato prima alla creazione di una sorta di collettivo strutturato in modo da dare visibilità e degna distribuzione ai nostri lavori in Italia e all’estero. Ma quasi subito abbiamo allargato la raccolta e la produzione di storie di molti altri fotografi/collaboratori esterni che man mano ci parevano affini al nostro mondo. A
bbiamo lavorato benissimo sino alla crisi dell’editoria del 2013/2014 che ha portato con sè i semi della rivoluzione che è avvenuta poi in seguito. Abbiamo provato diversi modelli di business per stare al passo con i cambiamenti e con le necessità dei nostri fotografi e dei clienti abituali. Alla fine – dopo aver valutato e analizzato molte opzioni – siamo arrivati alla conclusione che fare tutto da soli era la soluzione migliore. I vari partner con cui abbiamo instaurato rapporti nel corso degli anni avevano le nostre stesse difficoltà a generare e mantenere flussi economici sostenibili e soddisfacenti.
Così oggi per esempio abbiamo optato per un modello di gestione in-house di tutti i passaggi. Raccogliamo le storie che ci vengono proposte, le modelliamo secondo le esigenze e la qualità che il mercato richiede, ci confrontiamo con autori e clienti e distribuiamo in autonomia, attraverso venditori dedicati interni, le storie dal nostro sito e con altri strumenti specifici. Diciamo che funziona, per quanto il mercato sia sempre più asfittico e poco affidabile.
Noi compiamo tutti gli sforzi possibili per promuovere il lavoro dei fotografi che affidano a noi le loro storie. E cerchiamo spesso anche di rendere trasversali le opportunità, cercando di lavorare per esempio anche con il corporate, con il sociale e le altre realtà che hanno esigenze di produzione dei contenuti visuali oggi».
La sostenibilità è al centro di ISPA, il concorso fotografico nato in collaborazione con Pimco e gli altri partner? Come siete riusciti a legare il territorio italiano con un tema così ampio e difficile da affrontare in un momento storico come questo?
«Ovviamente è il tema centrale di questi ultimi tempi. Essere sostenibili oggi vuol dire non solo cavalcare l’onda mediatica che spinge un tema così importante sulla bocca di tutti, ma trasformare una parola importante in una realtà delle cose che – in un momento storico come quello che stiamo vivendo – si presta a molte interpretazioni diverse.
Ognuno di noi dovrebbe cercare di vivere una vita più sostenibile: verso se stesso, l’ambiente e gli altri. Non sono solo le grandi aziende o i governi a dover puntare verso un maggior equilibrio della nostra permanenza sul pianeta, ma la rivoluzione parte da ciascuno di noi. Quindi abbiamo voluto chiedere ai fotografi che vorranno partecipare al nostro contest – realizzato in collaborazione con uno dei maggiori gestori di fondi internazionale che ha appunto un’attenzione colossale verso gli investimenti sostenibili in generale – di focalizzare la loro attenzione verso quelle situazioni in cui le idee delle persone sono rivolte a cercare soluzioni e innovazioni creative verso i problemi quotidiani che dobbiamo risolvere: dall’agricoltura all’allevamento del bestiame, dalla convivenza nelle nostre città sino ai nuovi modelli di lavoro, passando attraverso i cambiamenti climatici e la gestione dell’energia. In Italia ci sono moltissimi progetti di questo genere e vorremmo che fossero “scoperti” da tutti e raccontati al meglio».
Quali altri progetti ha in programma Parallelozero?
«Fortunatamente abbiamo un sacco di idee che bollono in pentola in questo periodo, sia per ciò che riguarda i nostri clienti editoriali, che con i nostri partner corporate. Seguiamo quotidianamente la produzione dei contenuti per la comunicazione digitale per il Gruppo Enel per esempio (con il quale collaboriamo ormai da oltre cinque anni) e abbiamo iniziato ad aiutare Leonardo Finmeccanica con alcuni progetti visuali molto importanti. Continuano poi le attività di mentoring che portiamo avanti con i giovani fotografi della nostra fellowship, che ci stanno regalando grandi soddisfazioni; spingiamo le produzioni editoriali ogni volta che riusciamo ad organizzare di poterci muovere, sia in Italia che all’estero e proviamo a rinforzare continuamente le relazioni con clienti e fotografi.
E’ un momento di investimenti importanti: crediamo nelle persone che ci aiutano a migliorare sempre più la qualità del nostro lavoro e cerchiamo di trovare risorse nuove ogni mese per dare le possibilità a tutti noi di esprimere creatività e ingegno. Un progetto su tutti a cui teniamo moltissimo in questo periodo – per ovvie ragioni – e a cui stiamo lavorando in team da un anno esatto è Covid Diaries, un diario fotografico prodotto in collaborazione con molti dei nostri fotografi che sta raccontando tutte le varie fasi evolutive della pandemia nel nostro Paese. Si tratta di un racconto corale e appassionato – che è una mostra, diventerà un libro ed è già un sito internet aggiornato costantemente – che speriamo diventi un punto di riferimento per capire e ricordare. Per chi c’era e per chi invece leggerà tutto questo solo dai libri di storia».
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