«La distanza da cui l’acqua viene, i condotti che sono stati costruiti, i monti che sono stati forati, le valli che sono state superate». Per Plinio il Vecchio, scrittore, filosofo naturalista e comandante militare, non vi era persona sana di mente in grado di non riconoscere l’incredibile meraviglia degli acquedotti della Roma imperiale, nati dall’ingenium dei suoi architetti e dalla forza scrosciante della Natura, donatrice del prezioso elemento che giungeva nelle case di ogni cives, ricco o povero, schiavo o libero. Quella stessa energia ancestrale, per un destino beffardo, si porterà (sotto forma di gas e lapilli) la vita dello scrittore ammiraglio nel cataclisma del Vesuvio nell’autunno del 79 d. C., travolto, suo malgrado, da un’altra umanissima forza. Quello spirito di conoscenza che lo ha sospinto a seguire e osservare da vicino il titano (da τιταίνειν, “produrre uno sforzo”, “tendere in alto”) che tutto ha distrutto e devastato. Lui, che era un intimo scopritore e servitore della forza opposta, anche essa titanica. Quella che alacremente crea, forma, definisce e stabilisce.
Una tensione e passione che anche il fotografo Edoardo Montaina, influente interprete della fotografia d’arte e industriale, ha assecondato con coinvolgimento e spessore in “Building Sights – a Journey through contemporary infrastructures”. Dopo “Invito al Quirinale” (2002), “The New Panama Canal. A journey between two oceans”(2017), “Ferrerità” (2018) e dopo mostre personali tra Roma, Città del Messico e Pechino (“The delicate hints of our life”, 2012; “Visions of Beauty”, 2015) Montaina ha portato infatti a termine un immenso lavoro durato diversi anni e composto da 200 immagini, divise in sezioni (Visions, Cities, Nature, Faces, Geometries, Speed, Work, Traces) che ripercorre un percorso professionale e artistico, alla volta di cantieri, uomini e paesaggi tracciati nel solco della Webuild S.p.A. (ex Salini Impregilo), gruppo multinazionale italiano attivo in oltre 50 Paesi e specializzato nella realizzazione di grandi opere di ingegneria civile.
«Ho sempre creduto che l’umanità abbia il potere e la libera scelta di creare o di distruggere». E una delle prime immagini del volume, l’esplosione in “Kuwait, South Al Mutlaa, 2017”, apre idealmente il lavoro. Una sorta di big bang della coscienza, della consapevolezza come della responsabilità. Un sfida rara, con cui misurarsi come specie e come individuo. Ognuno di noi infatti è stato inevitabilmente preso da un’opera architettonica o ingegneristica del passato, una roccaforte, un tempio, un anfiteatro. Colto dalla possanza di quelle linee, dalla forza del suo concetto sottinteso, dal genio dell’autore o dall’ambizione del committente. Ma soprattutto dalla visione, dall’idea di futuro innescata nel solco del passato e in grado di irradiarsi ancora vivida e coinvolgente innanzi a noi. Così, quella domanda, quella richiesta sotto forma di idea e progettualità, diviene oggi sempre più difficile da evadere, quel porsi (anziché imporsi) nella natura delle cose, negli equilibri sempre più fragili del nostro ecosistema. La creazione di grandi opere è dunque utopia sotto forma di responsabilità e visionarietà allo stesso tempo.
“Simbolo della capacità umana di costruire”, ma anche potere rischioso e appunto titanico, a cui la testimonianza del fotografo (Kuwait, South Al Mutlaa Residential Area, 2017; Qatar, Al Khor, Al Baty Stadium, 2019) prende parte, ritraendone forme e aura attraverso una profonda e sincera complicità.
Opere idrauliche, grattacieli, tunnel, viadotti, ferrovie e metropolitane della Webuild divengono parte di un raro lavoro di ri-equilibrio, antropico e vitale. Come polmoni, sistemi circolatori e neuronali di una metropoli estesa e avvolgente (United Arab Emirates, Abu Dhabi, Road Interchange, 2017; Saudi Arabia, Riyadh Metro, Line 3, 2018) che aspira faticosamente a tornare simbiosi naturale, ricordandone tinte acquatiche (Panama City, 2015; Denmark, Copenhagen Cityringen Metro, 2019) o disegnandovi trame silenti e arboree (Qater, Doha Metro System, Red Line North Underground, 2019).
E se nelle foto di Montaina le cities, veri e propri ziggurat contemporanei, in grado di «Calamitare esperienze, emozioni, ambizioni, vite» (United Arab Emitares, Dubai – 2017), sono finalmente libere di sprigionare quella ἐνέργεια (energheia), quel purissimo fascio di luce connettiva (Saudi Arabia, Riyadh, Kingdom Centre, 2018; Panama City, 2015) memoria di profonde consistenze e coesistenze antropiche, questa non fa che richiamare una simbologia ancora più profonda, eucaristica, di quell’altro antichissimo luccichio, del grano al sole raccolto nelle prime società umane, i cui gesti collettivi (mietitura, l’estrazione, la costruzione e la segnatura) avevano ovunque la stessa grammatica e lo stesso valore collettivo.
A oggi, le società e coloro che si sono caricati della responsabilità non tanto di costruirle quanto di rifondarle, sembrano aver imboccato questa via del ritorno, dei gesti, volti e ambienti che giocano a ritrovarsi in una evidente relazione di similarità, di memoria comune, di «Identità connotanti, ogni volta singolari, seppur nelle differenti latitudini». E in cui ogni attraversamento spaziale, estetico ed esistenziale (Italy, Rome-Turin High Speed Railway Line, 2016; Qatar, Doha Metro System, Red Line North Underground, 2019) conduce inevitabilmente a un medesimo bio-soma sociale, integrato con l’ambiente e integrante con gli individui.
E infine, a chiudere, le tracce. Quasi un monito. Tracce e polvere (Saudi Arabi, Water Desolation Plant, 2017; New Panama Canal, 2019) «Segni fugaci che lasciano il posto ai tratti indelebili», di qualcosa destinato a durare. Ma quanto? La sfida di questi uomini si scopre titanica anche nella saggia consapevolezza del tempo, del suo ridurre in polvere e poltiglia ogni cosa, con l’inesorabile e ineludibile sfida che il futuro ci lancia ogni giorno.
«La qualità delle acque per le terme, le piscine, le fontane, le case, i giardini suburbani, le ville…». Le parole di Plinio il Vecchio riecheggiano ancora, sopravvissute alle migliaia di canaline, piloni, mattoni, alle milioni di libbra di calce e di ore di lavoro costate per queste opere che hanno unito l’Impero per secoli ma ormai crollate o dimenticate. Allo stesso modo, le tracce lasciate da Edoardo Montaina appaiono, dunque, segni e condotte di una mente sociale, diffusa, cooperazionale. Una meta-infrastruttura diacronica e sincronica ormai indelebile, assoluta, che rimane preziosa, perché figlia di uno sforzo collettivo che non vuole, mai e poi mai, dimenticare e dimenticarsi.
Building Sights. A Journey Through Contemporary Infrastructure, fotografie di Edoardo Montaina, testi di Franco La Cecla, Nicola Davide Angerame, introduzione di Pietro Salini. Edizione Rizzoli, lingua inglese, 255 pagg., tiratura limitata. Produzione: Webuild – Dipartimento Corporate Identity and Communication
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