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Fotografia Europea riflette sulla natura, (che) ama nascondersi
Fotografia
È la natura, che pur celando ai nostri occhi la sua essenza sempre di più si rivela in modi distruttivi, a essere stata posta sotto la lente dell’indagine con cui Fotografia Europea 2024 guarda i cambiamenti della contemporaneità: il celebre frammento di Eraclito «Physis kryptesthai philei», ovvero La natura ama nascondersi, è il tema scelto da Tim Clark, Walter Guadagnini e Luce Lebart per la nuova edizione del Festival – promosso e organizzato dalla Fondazione Palazzo Magnani e del Comune di Reggio Emilia, con il contributo della Regione Emilia-Romagna.
All’obiettivo dichiarato, quello di catturare la natura esplorando le interconnessioni fra occultamento e scoperta e immaginando nuove narrazioni al di fuori dell’atteggiamento di controllo dominante che la nostra specie esercita sul pianeta, i fotografi, grandi maestri e giovani esordienti, hanno risposto tematizzando il senso del doppio o della coesistenza come parte di tutta la vita sulla terra. Il contesto è quello dell’Antropocene e le storie si snodano da un lato su una scala iperlocale, dall’altro sul palco planetario, per parlare di idee di simbiosi, sostenibilità e di emergenza climatica ma anche evocare azioni positive o di trasformazione che gli esseri umani possono intraprendere, uscendo dall’asse di controllo dominante che la nostra specie esercita.
Le mostre ai Chiostri di San Pietro
I Chiostri di San Pietro ospitano, nelle loro sale, 10 mostre. Si comincia, al primo piano, con Helen Sear, artista di origine britannica e attenta osservatrice degli elementi mutevoli che compongono un paesaggio: l’uso della macchina fotografica come se fosse uno scanner che si muove nello spazio documenta l’esperienza di essere presenti nella natura, utilizzando tutti i nostri sensi nell’atto di guardare. Una catasta di legna monumentale, lunga 14 metri, e un pino, gigante, alto 4 metri, caduto nella foresta, sono alcune delle immagini – qui esposte – che danno forma al suo progetto, Within Sight, che esplora un senso di connessione e ritorno alla vita attraverso esposizioni multiple e stratificazioni. Segue Yvonne Venegas, con Sea of Cortez, che traccia una storia intergenerazionale in equilibrio tra l’esperienza della sua famiglia – che ha abitato le miniere di rame di Santa Rosalia all’inizio del ‘900 – e quella di un’intera generazione che ha sfruttato i territori intorno al Mar di Cortez. La sua esplorazione si avvale dell’aiuto delle persone che incontra nel suo percorso di indagine, per esprimere il sentimento di sfruttamento e i resti che quelle storie di miniera hanno seminato sul loro cammino.
The Shunyo Raja Monographies è invece il titolo della trilogia fotografica di Arko Datto – in corso da 9 anni – che mappa visivamente la traiettoria degli sfollati, delle case distrutte, delle scuole crollate e dei paesaggi perduti attraverso un progetto fotografico, che include ritratti e paesaggi che mappano l’erosione e l’innalzamento del livello del mare nel delta del Bengala – considerato uno degli epicentri del cambiamento climatico – e un quadro che delinea un’equivalenza tra la lotta al cambiamento climatico e la guerra globale al terrore, entrambe in conflitto con nemici invisibili ma onnipresenti e onnipotenti che possono colpire in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Il percorso prosegue con There’s no calm after the storm di Matteo de Mayda, che indaga le conseguenze a lungo termine di un evento metereologico estremo – come la tempesta Vaia, le cui conseguenze sono ancora visibili e tangibili, e l’equilibrio fragile tra l’azione dell’uomo e la tenuta degli ecosistemi: i versanti di alcune montagne sono brulli, senza le piante, è venuta a mancare una protezione contro le frane e le valanghe e i boschi che restano sono invasi dal Bostrico tipografo, un coleottero parassita che si ciba di legno.
Jo Ractliffe dedica Landscaping al paesaggio sudafricano ripreso durante i suoi viaggi in auto lungo la costa sud-occidentale. Nei suoi scatti in bianco e nero, Ractliffe riflette sul concetto stesso di paesaggio, disconoscendone il termine nel tentativo di sottrarre le sue fotografie a convenzioni stereotipate: parlare di paesaggio in termini di bellezza, o al contrario di bruttezza, significa osservare invece che partecipare, ridurre il luogo a un concetto piuttosto che a un’esperienza vissuta. Il corridoio centrale, seguendo il percorso, si apre con Permafrost – dal nome della parte superiore dello strato del suolo che normalmente e perennemente congelato. Il progetto è di Natalya Saprunova che, dal 2019, ripercorre la rotta del Grande Nord, quella della sua infanzia, per raggiungere le tundre lapponi della penisola di Kola in Russia, vicino alla Finlandia e alla Norvegia. Saprunova racconta la vita delle popolazioni dell’estremo nord del continente asiatico. Qui, nei suoi lunghi viaggi in compagnia della macchina fotografica e di un taccuino, la fotografa russo-francese scopre luoghi come la Yakutia e le sue popolazioni indigene, tra cui i pastori di renne Evenki e gli Yakuti, allevatori stanziali di mucche e cavalli. I colori tenui dei suoi scatti restituiscono l’ansia di queste comunità, testimoni del rapporto simbiotico con una natura estrema che oggi è messo a rischio dalle conseguenze dell’industrializzazione.
Ai lati del grande corridoio, sulla destra Terri Weifenbach, con Cloud Physics, esplora la vitale interconnessione tra le nuvole del nostro pianeta e le intime forme della sua vita biologica attraverso una serie di fotografie realizzate in un istituto di ricerca americano per lo studio e la misurazione delle nuvole, la loro origine, struttura, particelle e reazioni, che ci restituiscono il nostro mondo organico terrestre come un mistero non quantificabile. Sulla sinistra invece Lisa Barnard con la mostra An Act of Faith: Bitcoin and the Speculative Bubble conduce alla riflessione sull’essenzialità della natura nella creazione di bitcoin documentando lo sfruttamento dell’energia geotermica in Islanda, necessario per sostenere il processo di estrazione mineraria; e Bruno Serralongue con Community Gardens of Vertus, Aubervilliers, guarda alla lotta – su scala locale, ma legata a una più ampia consapevolezza della necessità di preservare ambienti vivibili di fronte a progetti ecocidi – che alcuni giardinieri hanno iniziato nel 2020 per opporsi all’abbattimento di oltre 4.000 metri quadrati di orti – a meno di due chilometri da Parigi, ad Aubervilliers in Seine-Saint-Denis – a favore di nuove costruzioni per i Giochi Olimpici di Parigi 2024.
Al piano terra è invece allestita la mostra Sky Album. 150 years of capturing clouds e celebra la vastità e la bellezza delle immagini di nuvole e l’unicità della pratica appassionata – di scienziati, dilettanti e artisti – di fotografare il cielo. Agli albori della fotografia risultava quasi impossibile immortalare le nuvole e solo a partire dalla seconda metà del XIX secolo, grazie ai miglioramenti di tecnica e tecnologia, i fotografi iniziarono a catturarne l’infinita mutevolezza. Opere di artisti come Masano Abe, Gustave Le Gray, Kalev Erickson e Anna Niskanen contribuiscono a tracciare un quadro della storia del cielo e della storia della fotografia, e dei modi in cui esse si intrecciano.
Le mostre a Palazzo da Mosto
Si comincia con la mostra Index Naturae, a cura di Stefania Rössl e Massimo Sordi (OMNE – Osservatorio Mobile Nord Est), comprensiva di 116 libri fotografici pubblicati negli ultimi cinque anni dedicati al tema della natura. La selezione, che rappresenta una fonte di riflessione sullo stato attuale della fotografia e dell’editoria, individua un corpus di esperienze di ricerca capace di offrire punti di vista molto diversi sul tema del rapporto tra uomo e natura nella contemporaneità, stimolando possibili approfondimenti e sperimentazioni. Continuando lungo il percorso si apre Nsenene di Michele Sibiloni, che documenta i momenti frenetici delle attività della raccolta delle cavallette (Nsenene, appunto) in Uganda, a cui si alternano lunghi periodi di attesa e speranza; tempistiche sempre meno prevedibili a causa del cambiamento climatico.
Si prosegue verso day by day di Karim El Maktafi – committenza di questa edizione di Fotografia Europea – che si focalizza sull’affascinante contesto delle “Aree Interne”: regioni estremamente eterogenee, caratterizzate dalla lontananza da grandi centri di agglomerazione, che, pur occupando circa tre quinti del territorio nazionale, ospitano poco meno di un quarto della popolazione complessiva italiana. L’indagine di El Maktafi si è sviluppata in vaste porzioni dell’Appennino Emiliano, dove lui in prima persona ha esaminato il profondo e fragile legame tra l’uomo e la natura, facendo emergere l’eredità culturale attraverso stili di vita profondamente radicati nei cicli lenti dell’ambiente naturale montano. Chiude SHIFTERS di Marta Bogdańska parte dal presupposto che solo ripensando alla posizione dell’essere umano nel mondo e guardando quindi oltre l’orizzonte antropocentrico, si possa realizzare una coesistenza vera e profonda, che includa quindi anche gli animali.
Luigi Ghirri. Zone di passaggio, Palazzo dei Musei
A cura di Ilaria Campioli, propone una riflessione sul tema del buio e della notte con l’obiettivo di raccontare l’importante ruolo che entrambi rivestono nell’immaginario collettivo. Punto di partenza sono le numerose opere di ambientazione notturna che Luigi Ghirri ha realizzato nel corso della propria produzione, che entrano in un dialogo pensante con lavori di Mario Airò, Paola Di Bello, Gregory Crewdson, Paola De Pietri, Stefano Graziani, Franco Guerzoni, Armin Linke, Amedeo Martegani e Awoiska van der Molen: tutti artisti che, a partire dalle sperimentazioni sul medium e sulla visibilità della fine degli anni Sessanta, utilizzano il buio come possibilità di narrazione. Al terzo piano Palazzo dei Musei ospita anche Contaminazioni, la mostra collettiva di Claudia Amatruda con Good Use Of My Bad Health, Benedetta Casagrande con All ThingsLaid Dormant, Noemi Comi con Proxidium, Massimiliano Corteselli con Contrapasso, Camilla Marrese con Field Notes for Climate Observers, Cinzia Romanin con Transcendence e Alessandro Truffa con Nioko Bokk.
NEW THEATERS OF THE REAL. Collaborating with AI, SPAZIO GERRA
Nel quadro del dialogo permanente tra natura e artificio che percorre le arti la mostra NEW THEATERS OF THE REAL. Collaborating with AI presenta cinque differenti posizioni della fotografia contemporanea capaci di aprire il confine della creazione a diverse modalità di collaborazione con l’intelligenza artificiale generativa. Può la IA, pur nella sua completa estraneità alla natura, aiutarci a intuirne i processi più nascosti e di conseguenza a preservarli? È il caso di Markos Kay che in aBiogenesis visualizza una delle teorie più note su come si sia sviluppata la vita sulla terra a partire da membrane lipidiche. Mentre la serie Ornitography di Xavi Bou, si avvale dell’algoritmo per ricostruire la bellezza nascosta del volo degli uccelli.
E, ancora, come si configura il rapporto tra le capacità predittive e logiche (o illogiche) dell’IA e la creatività umana? La IA è in grado di potenziare le nostre facoltà immaginative? O si tratta invece di un ulteriore strumento di alienazione che allontana gli umani ancora di più dall’appartenenza a una natura unitaria? La post-fotografia di Katie Morris si innesta su una tradizione surrealista per creare un immaginario in cui vengono costantemente ridefiniti i confini del reale, in un conflitto permanente tra il fragile ordine del mondo organico e le costruzioni artificiali dell’intervento umano. In Pierre Zandrowicz ogni immagine della serie Whisper of Eternity è come il frame di un film che racchiude sia la scena che l’osservatore, in una quiete contemplativa che getta un ponte tra la vastità della natura e i più intimi recessi dell’esistenza umana. Lo sguardo ironico di Antti Karppinen infine ci proietta dentro una realtà alterata dai cambiamenti climatici, in cui le persone continuano a svolgere le proprie attività in una completa scissione con i processi della natura circostante.
La collezione di Linea di Confine a Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi
Nella fonoteca della biblioteca sono esposte le opere che Paola De Pietri e Walter Niedermayr hanno realizzato interpretando le Casse d’espansione del fiume Secchia. De Pietri realizza la sua osservazione sorvolando con una mongolfiera l’area del parco fluviale, in modo da ottenere immagini a metà strada fra quella offerta dalla comune mappa topografica, quella dell’aereo e quella degli occhi del visitatore. Niedermayr produce invece una serie di dittici, attraverso cui si interroga sul destino delle aree sottoposte ad intenso sfruttamento economico e successivamente attrezzate per gestire sport e attività didattiche, osservando come i parchi rappresentino la nostra pretesa romantica di trovare una nostra immagine di natura incontaminata.
Radici, Villa Zirloni
Gioiello dell’architettura liberty, Villa Zirloni riapre per questa edizione e ospita la mosrta personale di Silvia Infranco, a cura di Marina Dacci. Orientata sugli erbari, sulla farmacopea e sui processi di cura arcaici e rituali rinvenuti in manoscritti e in testi a stampa antichi, per Radici Infranco – che ha consultato l’Erborario Naturale del Santo Spirito del XVII secolo, la più antica raccolta botanica conservata nei Musei Civici della città da cui l’artista ha estrapolato le immagini di 5 piante divenute poi cuore dei lavori: aconito, elleboro nero, belladonna, giusquiamo e papavero – ha sviluppato la sua ricerca nei termini più riflessivi di un rapporto tra uomo e natura nell’ambito dell’approccio fitoterapico con particolare attenzione ai risvolti magici, simbolici ed alchemici intervenuti nel corso dei secoli. Passato magico e presente scientifico convivono all’interno della mostra e concorrendo alla definizione di un approccio contemporaneo di rigenerazione della relazione uomo-ambiente.
Fotografia Europea arricchisce la proposta espositiva con Disintegrata, di Silvia Rosi, alla Collezione Maramotti, la terza edizione di FOTOFONIA – la declinazione musicale del festival curata da Max Casacci che ha come titolo Urban souls ed è dedicata alla Storia, al presente e al futuro di una musica italiana capace di fondere radici black e soul, con la complessità dei linguaggi urbani contemporanei, attraverso melodia e parole – e un ricchissimo Circuito OFF.
Last, but not least – perché la approfondiremo più avanti – Palazzo Magnani ospita Mediations, la prima retrospettiva mai presentata in Italia di Susan Meiselas, fotografa americana nota soprattutto per il suo lavoro nelle aree di conflitto dell’America Centrale (1978-1983) e in particolare per i suoi potenti scatti della rivoluzione nicaraguense. «Non c’è la natura in mostra – ha spiegato l’artista – c’è una vita, una vita intera, passata cercando, e trovando, sempre nuove tematiche». Una vita con la macchina fotografica tra le mani: la fotografia è sempre stata un pretesto per trovarsi in luoghi a cui altrimenti non si appartiene.