Nelle sale del primo piano, Villa Pignatelli â Casa della Fotografia ospita la seconda tappa della mostra âPrimitive Elementsâ, personale di Francesco Bosso a cura di Filippo Maggia, presentata per la prima volta alla Galleria delle Stelline un anno fa. Oltre 40 fotografie realizzate nellâultimo quindicennio, attraversando il pianeta in lungo e in largo, per tessere unâode alla natura che, oggi, risulta quasi straziante.
Le opere, recita il comunicato, «vogliono indurre il pubblico alla consapevolezza di quanto sia necessario tutelare lâambiente e promuovere un cambiamento culturale soprattutto nellâuso responsabile delle risorse naturali». Eppure, quel processo di astrazione, di purificazione da ogni eccesso visivo, da ogni rumore circostante cui lâartista sottopone lâimmagine, pare andare ben oltre lâavvertimento. Silenziosi e imponenti, questi elementi primitivi sembrano ormai affiorare inesorabilmente da una dimensione leggendaria, eterni nel ricordo, lontani dallâesperienza.
Con estrema padronanza nellâuso del banco ottico e nella stampa in camera oscura, Bosso realizza opere di indubbia pulizia formale, in cui il bianco e nero sfronda lâelemento naturale da ogni vivacitĂ cromatica per restituirgli spessori e volumetrie che tendono allo scultoreo. Se infatti lâinteresse verso la natura attraversa tutto il suo lavoro, altrettanto si puĂČ dire della continua negoziazione tra luminositĂ naturale e rapporto luce/ombra che si instaura allâinterno dellâimmagine fotografica e tra fotografia e soggetto ritratto.
Ne sono testimonianza i titoli delle serie, da alcune delle quali sono tratte le foto in mostra: White World, After Dark, Golden Light, Last Diamonds tradiscono la matrice di una ricerca in cui allâosservazione della natura «nelle sue espressioni migliori e piĂč suggestive» â come ci raccontava Bosso in questa intervista â si affianca la ricerca di un equilibrio chiaroscurale perfetto in cui, contornati da unâaura quasi sacrale, rocce, cascate, iceberg diventano giganti sublimi e solitari, divinitĂ ancestrali tornate nel presente a memoria della lunga storia di errori dellâuomo verso la sua terra.
Sullo scivoloso terreno della fotografia di paesaggio, in cui lo sguardo estatico rischia talvolta di risultare unica chiave di lettura dellâindiscussa bellezza di Madre Natura, Bosso traccia il suo sentiero, in cui visione plastico-luministica ed elaborato processo esecutivo si giocano sul filo di unâimpresa dagli esiti non sempre scontati: liberare il soggetto dalle insidie di un inerme atteggiamento contemplativo, pur elevandolo esplicitamente a oggetto di un culto che Ăš, inevitabilmente, antico e attuale insieme.
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