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Gaia Cambiaggi, Invernaderos | PRIMO PIANO di Palazzo Grillo
Fotografia
Nella testa di Gaia Cambiaggi (Genova, 1977) Invernaderos è nato in tempi non sospetti, quando la fotografa era una bambina, e partire per le vacanze significava percorrere la A10. L’Autostrada dei fiori, una lingua d’asfalto meno poetica del nome che porta; dove quei fiori si presentano perlopiù chiusi in un panorama tappezzato di serre per la loro coltivazione. Una realtà che se da piccolo t’incuriosisce, e un po’ stupisce, da grande fa venir voglia di capirci di più. Ecco che nel 2013 nasce il progetto “Invernaderos”.
Percorso mostra snello, con pochi scatti giusti a cui è stato dato il giusto spazio. “Invernaderos” è da scartare, t’invita a scoprire cosa c’è realmente sotto la superficie, oltre quelle serre che sono molto più di un soggetto fotografico. È un pacco dal quale Cambiaggi tira fuori un escalation di risvolti socialmente più complessi: dall’impatto sul territorio all’obsolescenza di un sistema che secondo la fotografa «Parla di un’altra epoca» secondo la fotografa, per finire su una mano d’opera – nel caso particolare della Spagna – spesso non locale e in nero. Per la cronaca la nostra non si fa sfuggire l’occasione per bollare il business dei fiori come «Uno dei tanti colonialismi».
Se le differenze tra uno scatto prodotto in Italia, Olanda o Spagna – le tre tappe in mostra – sono maturate al netto di aspetti tecnico-formali specifici, meno rilevante – e più contingentato al folclore – è quel che avviene all’interno di ogni serra. Punzecchiata a riguardo Cambiaggi dichiara limpidamente «Non m’interessa tanto quello che si produce, quanto il rapporto con l’esterno». Ed è una regola sempre valida, anche in quei – pochi e incisivi – casi in cui la narrazione è dislocata su interni che sono come “allargati”, pensati oltre la rappresentazione data. Esempio: osservare la produzione floreale in una serra dell’imperiese non produce un’immagine chiusa nelle sue forme, colori e piani prospettici, ma uno scatto più lanciato sul piano simbolico. In quella scena c’è tutto, è visione totalizzante, allegoria dell’artificio di un intero sistema.
Cambiaggi funziona perché ha un linguaggio comprensibile, una bella proprietà di sintesi che le permette di lavorare ogni immagine per classificazione di punti salienti, senza eccessi formali. Sa come non far perdere credibilità anche ad uno scatto in cui stringe l’orizzonte fino a chiuderlo, fino a rendere la terra di Liguria una prospettiva verticale che ti si sbatte in faccia. Un’immagine carica, privata di profondità, ma che restituisce ipso facto tutta la claustrofobia di un territorio-puzzle dove è facilissimo individuare ogni pezzo. Dove le serre convivono “per incastro” con le esigenze abitative dei vivi (le case) e dei morti (il cimitero).
Altre complessità territoriali delineano il caso di Almeria; in Calabria si fanno cartina di tornasole per criticità congenite, là dove paratie divelte e tanti altri dettagli diventano il pretesto per trattare la serra come un monumento allo status quo sociale. Quasi fosse sintomo di fatiscenza diffusa – non sempre palese – sul territorio, di un’aria pesante che il sud Italia s’è abituata a respirare. Metter su un confronto diretto metodo calabrese/perfezione olandese, quest’ultima con la sua infilata di strutture linde e pinte, lascia spazio ad un risultato leziosamente – ahi noi – prevedibile. “Facilone”, quanto funzionale a render macroscopica l’incidenza di un sistema di produzione sui deficit endemici di un territorio, e una nazione. E tra chi si arrabatta e chi fa il precisino a cantar vittoria non è proprio nessuno.
Andrea Rossetti
mostra visitata il 1 ottobre 2019
dal 20 settembre al 3 novembre 2019
Gaia Cambiaggi – Invernaderos
A cura di Emilia Giorgi
PRIMO PIANO di Palazzo Grillo
Vico alla chiesa delle Vigne 18r – (16123) Genova
Orari: da mercoledì a domenica, ore 14 – 20