All’interno delle sale barocche del Palazzo Ducale di Sassuolo, polo museale facente parte del patrimonio delle Gallerie Estensi, è possibile visitare fino al 3 novembre 2024 la mostra inedita del grande fotografo Gianni Berengo Gardin, in collaborazione con la storica azienda di ceramica Marazzi. L’esposizione, inserita nella più ampia cornice della 24° edizione di Festivalfilosofia e curata da Alessandra Mauro in collaborazione con Gallerie Estensi, Contrasto, Fondazione Forma per la Fotografia e Archivio Gianni Berengo Gardin, restituisce il prezioso documento di una collaborazione significativa tra arte ed industria, binomio che storicamente ha prodotto un lascito denso di storie sperimentali. Le linee veloci celebra i 50 anni del rivoluzionario brevetto della monocottura rapida, salto tecnologico fondamentale nella produzione industriale della ceramica. È il 1977 quando Berengo Gardin lavora alla documentazione fotografica del nuovo brevetto tecnologico inventato tre anni prima nel 1974 e chiave di svolta mondiale dell’industria ceramica Marazzi; per la prima volta, una selezione di 42 scatti inediti vengono presentati al pubblico come testimonianza di un periodo fruttuoso per l’industria, la fotografia, l’arte. Gianni Berengo Gardin. Marazzi, le linee veloci è anche il titolo del volume pubblicato da Marazzi Group e Contrasto, con testi di Alessandra Mauro e Gianni Berengo Gardin.
Nel 1977, il fotografo si trova immerso in un ambiente pulito, efficiente, dal sapore internazionale, di cui lo affascina soprattutto la velocità produttiva e quel nastro trasportatore dove colori, forme, disegni sembrano mescolarsi in un vortice: il soggetto del progetto diventa dunque quasi subito per lui il ritmo colorato della produzione, molto diverso da altri contesti industriali in cui aveva operato.
A prima vista, il corpus di opere si presenta distante dalla fotografia documentaristica tipica di Berengo Gardin, in bianco e nero e ricca di soggetti umani che animano gli scatti. Lavorando, qui, in un ambiente industriale ed estremamente dinamico, la scelta di lasciare il colore è invece un atto documentaristico consapevole rispetto al luogo di lavoro da documentare, cogliendone la vera essenza. È il nastro trasportatore che vorticosamente trasporta piastrelle più o meno colorate, più o meno grandi, in una danza sincopata sintomo di modernità e di lavoro che sta cambiando; sono i riverberi di una storia che si ripete e che si ripeterà, dalla Rivoluzione Industriale ad oggi. La mostra Linee veloci , già dal titolo, coglie la vera essenza della collaborazione tra l’azienda e il grande fotografo. Entrando nelle suntuose stanze del palazzo (Sale della Musica, degli Innocenti e dei Sogni) si trovano delle installazioni minimali centrali allo spazio, sulla quale scorrono in modo consequenziale le fotografie, otticamente legate tra di loro. Minimali e dal sapore astratto, appaiono pochissime volte i lavoratori che, in questo contesto, si trasformano in figure sapienti in gradi di dirigere il grande movimento, come dei direttori di orchestra o degli scienziati. Il soggetto industriale si svela nella sua piena potenzialità astratta: forme geometriche si ripetono in un ritmo sincopato, facendoci dimenticare del soggetto e aprendo la mente ad una serie di associazioni consequenziali. Si coglie certo la piastrella e la linea di produzione, seppur se non a un primo sguardo, ma anche l’architettura moderna, il gusto per la forma dallo stampo quasi concettuale, i riferimenti all’arte italiana degli anni ‘60 –‘70, l’optical, il razionalismo, il suono e l’odore dell’azienda. Tra le forme e i colori si perde spesso il punto di riferimento, portando lo sguardo oltre; pur mantenendo ben saldo il progetto fotografico alla sua funzione documentaristica, le fotografie fungono da ponte temporale verso l’epoca in cui sono state scattate, giocando apertamente con mondo dell’azienda e quello esterno. Le piastrelle sembrano grandi palazzi postmoderni fitti di balconi, le linee di produzione appaiono come superstrade a volo d’uccello, le piastrelle si trasformano in grandi monocromi laccati.
La fotografia industriale ha una densa storia, ma qui si presenta estremamente diversa in forma e contenuto: Berengo Gardin coglie l’essenza del prodotto nello spazio, mai il prodotto in sé come oggetto chiuso nel suo spazio limitato. Sezionare per cogliere il dettaglio, lì dove risiede la vera essenza del progetto; fotografie come macro-tasselli sul funzionamento del processo. È lo stesso fotografo che spiega «mi fu chiaro subito come la sfida professionale fosse quella di riuscire a cogliere il flusso veloce dei colori, la scia dinamica delle forme. Il colore, che ho usato sempre poco, si imponeva, quindi, come scelta. Provai inoltre a lavorare in modo diverso da quel che normalmente facevo. Qui cambiavo spesso la distanza, avvicinandomi molto ai soggetti, per riuscire a cogliere i dettagli, i frammenti di quel che vedevo e realizzare così foto diverse dalle altre: sognanti, colorate, quasi astratte». Gianni Berengo Gardin. Le Linee veloci è una mostra inedita e in certi sensi atipica nei risultati immediati ma che, colta nel suo senso profondo, svela le radici di un Maestro della fotografia che ha saputo sperimentare, pur mantenendo sempre la sua cifra autoriale e documentaristica verso le cose dell’umanità.
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