«Ho fotografato per capire. Ho cercato di dare voce a chi non ne ha». Parola di Lisetta Carmi, protagonista per Humboldt Books del volume Genova 1960/1970. Piccolo e pungente proprio come la sua protagonista, ex pianista prestata alla fotografia. Ben contenta d’essere nata donna, ma insofferente ai cliché imposti da un’Italia schiacciata tra dopoguerra e boom economico. Che non sarebbe mai stata un “angelo del focolare” lo sapeva dall’inizio.
Genova 1960/1970 è il ritratto di una città che andava incontro ai tempi, con quell’incoscienza mista a nonchalance tipica dei suoi abitanti. È l’impegno di Lisetta, la volontà sovra-politica di mettere a nudo una società definendone i termini; rileggendone la storia da varie spigolature, anche tra le lapidi monumentali del cimitero di Staglieno. Senza falsificazioni, ma personalità si, quanta ne bastava ad intitolare la serie Erotismo e autoritarismo a Staglieno.
A carrellata unica il volume rievoca la vita di una popolazione, tra caruggi, portualità e panorami; dal consentito al proibito, mixando tra i termini estremi di una società di cui la cara Lisetta sapeva cogliere tutto. Per capire quello che agli occhi degli altri poteva sembrare assurdo; per dare voce proprio attraverso la fotografia, che forse è cosa più assurda ancora.
Quello che è stato e – perlomeno in quel modo – non sarà più, pure se i panni stesi che ti svolazzano sopra le testa sembrano essere sempre gli stessi. In una Genova che nel suo piccolo interpreta l’Italia sovrastata dal passare del tempo, nel bene e nel male. Una città simbolo, un luogo dove documentare il lavoro significava intrufolarsi in un territorio fortuito, qualcosa che esisteva – ieri come oggi – a patto di condizioni non sempre vantaggiose.
Storia di un Belpaese che con la diversità ha più volte patteggiato; quello per cui Lisetta si è dovuta trasformare – suo malgrado – in maestrina, insegnandogli che la diversità non è semplice moda, ma esperienza comune e quotidiana. Perché Lisetta poteva trasformarsi da manifestante a maestra di vita; aveva una genialità spontanea, che negli anni Sessanta la spinse a documentare l’universo dei travestiti genovesi, tanto alla luce del (poco) sole che illumina i caruggi, quanto nelle loro “inaccessibili” mura. Mura che spesso erano date in affitto proprio dalla buona borghesia del tempo, a riprova che alla fine tutto torna. A conferma che la società è una struttura lineare, un cerchio dove non esistono capipopolo e primatisti, solo esseri umani.
Per l’occasione danno “voce” a Lisetta i testi di Giuliano Scabia, Giovanni Battista Martini e Giovanna Calvenzi.
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