In una conversazione del 2003 con Marco Sironi, Gianni Celati descriveva così il lavoro dell’amico: Ciò che v’era di insolito nelle foto di Ghirri era l’attenzione per le pratiche di addobbo d’uno spazio quotidiano, che si vedeva nei vasi di fiori, nei colori, nell’ordine delle simmetrie. Le foto di Ghirri non documentano niente di preciso, soltanto “ti fanno vedere”. Ma da questo “farti vedere” scaturisce la dignità dell’essere delle cose.
Qui Celati si riferisce ad una serie di fotografie alle quali Ghirri lavorò nei primi anni Settanta, ma non sarebbe insolito utilizzare le stesse chiavi di lettura per gli ottanta vintage prints che grazie alla collaborazione con l’Archivio Luigi Ghirri troviamo oggi esposti a Palazzo Bentivoglio negli spazi che già avevano ospitato l’esposizione fotografica Bologna Portraits di Jacopo Benassi, in occasione di Arte Fiera 2019.
L’allestimento, di straordinaria delicatezza, è stato concepito lasciando che fossero gli spazi a rivelare come accogliere gli scatti. Grazie a Francesco Librizzi Studio sono state quindi costruite delle strutture di supporto che respirassero con lo spazio circostante, come ad esempio le teche che accolgono al centro delle sale gli album da disegno Fabriano che Ghirri usava per i provini.
Si tratta per la maggior parte di inediti riguardanti quattro importanti committenze per l’industria realizzate negli anni Ottanta a carico di Ferrari, Costa Crociere, Bulgari e Marazzi, dove Ghirri realizza una fotografia senza preconcetti che indaga rispettivamente il processo di trasformazione dei materiali, il rapporto tra interno ed esterno, il concetto di natura morta – pensiamo all’influenza delle nature morte di Morandi degli anni ’20 – e la prospettiva.
Con il suo stile concettuale, Ghirri continua a studiare l’ambiguità mobile delle cose, l’atto stesso del guardare, del fotografare, in quanto esso trasforma inevitabilmente un oggetto in qualcosa d’altro. Non a caso la sorpresa di trovarci di fronte a questi scatti è provocata dal paradosso tra l’intento documentaristico della committenza e la necessità intima di portare avanti una propria poetica. Sfumando la nettezza dei contorni dei materiali di fabbrica, riesce a realizzare fotografie che paiono memorie avvolte nella bruma, paesaggi sognati e agguantati al di là dello specchio, grazie alla desaturazione che rende le cose evanescenti.
Infine, di fronte a questa ricerca cromatica è impossibile dimenticarsi di come la nebbia sia un elemento chiave per Ghirri che, nato a Scandiano, porta nel suo sguardo il paesaggio sospeso della Pianura Padana. Terra avvezza a cullarsi nella sua immaterialità, non poteva che suscitare in Ghirri questo bisogno di trasferire nella fotografia un’opalescenza fatta di linee di fuga e enigmi di immagini.
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