Che sia scultura, pittura, installazione, per Mimmo Paladino è sempre questione di suggestioni, che rivivono, in una nuova forma, anche nelle immagini in movimento. Dal 2006, con il Quijote, fino al recente La Divina Cometa, l’artista campano, tra i nomi più significativi della Transavanguardia, ha sperimentato con il linguaggio cinematografico, portandovi la propria cifra poetica. Questo lungo e sfaccettato percorso rivive a Villa Campolieto, gioiello d’architettura a Ercolano, per la mostra “Il cinema di Mimmo Paladino. Fotografie di Pasquale Palmieri”, a cura di Maria Savarese. Presentata in occasione del Campania Teatro Festival 2023, coprodotta dalla Fondazione Campania dei Festival, Film Commission Regione Campania, dalla Fondazione Mannajuolo, dall’Associazione Culturale Archivi della Memoria e realizzata grazie alla collaborazione dell’Ente Ville Vesuviane, la mostra sarà visitabile fino al 17 settembre 2023.
«La fotografia di scena – ha affermato la curatrice Maria Savarese – è qualcosa che va oltre gli scatti posati e il backstage, appare quasi come un’etnografia visiva del set cinematografico, necessaria a cogliere aspetti e dettagli della vita quotidiana del lavoro filmico, è proprio in questo senso che il racconto di Pasquale Palmieri risulta unico e determinante, non solo nella sua capacità di svelare, attraverso le immagini, la costruzione dell’opera cinematografica di Paladino, ma nella sua peculiarità di ricostruire un particolare ambito della cultura contemporanea della nostra regione, quello dell’area del Sannio, aggiungendo un’ulteriore tessera al grande mosaico degli archivi fotografici privati, immensi patrimoni da conoscere, tutelare e valorizzare».
Il progetto espositivo racconta l’approccio di Paladino all’immagine filmica e le sue soluzioni, attraverso il lavoro di Pasquale Palmieri, fotografo di scena di tutti i suoi film, in un percorso narrativo e di documentazione della sua ricerca. A Villa Campolieto, spazio di grande rilevanza storica e dal panorama unico, risalente alla metà del ‘700 su progetto di vari architetti tra cui Luigi Vanvitelli, la mostra si dipana nelle sale del primo piano, che già hanno ospitati interessanti progetti di arte contemporanea.
45 le fotografie di scena di grande formato a colori, a cui si affiancano altrettante in bianco/nero di più piccole dimensioni dei vari backstage. L’allestimento non procede per cronologia ma per temi relativi ai vari film, restituendo il rapporto di Paladino con il cinema, che ha origine dalla curiosità di un pittore che lavora con le immagini e cerca sempre nuovi strumenti espressivi. Fotografando i lungometraggi Quijote (2006), La Divina Cometa (2022) e i corti Labyrintus (2013) e Ho perso il cunto (2017), il fotografo si sofferma in particolare sulle varie fasi della lavorazione, dalla ricerca delle location, al dialogo con gli attori, con i tecnici e le maestranze, riuscendo a intercettare l’anima dei film e tutto ciò che solitamente rimane nascosto, attraverso sequenze “senza movimento”.
«Per me – ha spiegato il fotografo – uno stage con il più grande fotografo del mondo non sarebbe stato più formativo della frequentazione di un grande artista. Il contatto con la creazione della bellezza mi bastava per definire la mia visione del mondo. Ho conosciuto l’importanza del dubbio, dell’incertezza, dell’imperfezione, del vuoto che precede la creazione, del non finito, delle zone d’ombra dell’arte nel suo farsi. Ma non c’era bisogno di parole: la comunicazione con l’artista avveniva per osmosi. Ho compreso quanto l’opera finita sia distante dal momento in cui si genera, e quanto diventi potente nell’attimo in cui si libera dal suo artefice, raccontando cose a cui neppure l’artista pensava».
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