L’artista svizzera Mariapia Borgnini ha una complessa esperienza culturale e artistica nella quale ha variamente sperimentato con installazioni, immagini fotografiche, video, oggetti, disegni, elementi sonori e pubblicazioni affiancando la sua costante attività di formazione operativa di psicopedagogista. Ora a Chiasso fino al 24 giugno la Galleria CONSARC espone la sua ultima produzione nella mostra intitolata “First aid” che raccoglie una serie di 10 fotografie di grande formato.
Il tema delle migrazioni e della sofferta ricerca di terre sicure da parte di profughi dalle parti del mondo più disperate è ricorrente nella ricerca degli ultimi anni di molte personalità artistiche. Borgnini si era già cimentata a partire dal 2013 su questo terreno per approdare nel 2017 al grande pannello Avevo sognato un bel viaggio ma è stato una ferita, una guerra accortamente esposto alla mostra “?War is over” a Ravenna, nel 2018. Con quell’opera innesta nella suggestione affettiva e dalla nostalgia per la tradizione del popolo afgano devastato che origina gli “arazzi/messaggio poetico” di Alighiero Boetti, la denuncia della sofferenza di tutti quei popoli costretti ad abbandonare a rischio della vita la propria terra. E a tale scopo scrive le parole di un migrante che, utilizzando frammenti dorati di coperte di assistenza quale tessere di un mosaico su un fondo blu mare dipinto su altre coperte, scompone nei segni della nostra lingua per ottenere una koinè tragica con la dimensione comunicativa e decorativa dei pittogrammi orientali.
Ma se in quell’opera la comunicazione dell’angoscia era affidata alle parole di un protagonista-vittima, nell’esperienza che presenta ora Borgnini va alla ricerca di responsabilità: sposta il fuoco della denuncia sul cinismo del consumismo, l’indifferenza delle società avanzate e la deriva ambientale di cui siamo impregnati.
Propone una lettura a strati sovrapposti nei quali intreccia l’ironia e la condanna, la grande perizia della tecnica fotografica e la cura dell’immagine, la fantasia compositiva e la trasfigurazione degli oggetti ritratti. Il tutto rappresentato sul cangiante splendore delle superfici riflettenti di un oggetto simbolo della sofferenza e della paura ma anche dell’assistenza e della partecipazione umanitaria.
La distribuzione anni orsono ai prosperi cittadini svizzeri di esemplari di una coperta isotermica della dimensione di 210 per 160 con la dicitura “First aid”, da parte di un’organizzazione umanitaria, per una meritoria raccolta di contributi di cui non sappiamo i risultati, sul piano simbolico ha risvegliato lo spirito critico dell’artista. E con l’ineluttabile forza dell’immagine fotografica, le 10 opere mostrano l’ambiguità di quell’iniziativa e la disattenta rimozione del loro ruolo umanitario che ha generato.
Fissate nell’uso improprio cui sono stati destinati, le immagini di quei teli d’oro sono stampate sul lato d’argento per intrecciare la risonanza delle due facce. Usati per proteggere dalla pioggia la motocicletta, per avvolgere una pianta di limoni, come una tenda della doccia, per racchiudere una zolla di terreno intorno alle radici di un albero espiantato, da tovaglia per un tavolo di cucina, cartoccio per un pollo (?) in una teglia da infornare. E altri ancora altrettanto fantasiosi e ingegnosi.
In questa serie di opere di grande impatto visivo, il supporto coperta termica assume le caratteristiche di strumento di comunicazione intrinseco che non lascia possibilità al tempo o al contesto di attutire il senso dell’angoscioso messaggio e, al contempo, nell’esporre questi grandi panni agganciati liberamente come fantasmi fluttuanti negli spazi indifferenti della galleria, ne ingigantisce il senso di vanità e di temporaneità.
A questi grandi e delicati oggetti, quasi a vocazione museale, sono affiancati tre portfolio della serie completa e esemplari singoli in formato 50 x 60 con la finalità e l’auspicio di una più ampia diffusione del loro messaggio civile.
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