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Interrail fotografico, tra presente e passato
Fotografia
Anticata, seppiata, a colori, la fotografia inquadra, ritrae, immortala il mondo e i suoi abitanti, senza essere di fatto la riproduzione mimetica della realtà anche quando la documenta. Oggi, non si parla solo di fotografia ma anche di post fotografia e metafotografia. Dove? Breve tour tra mostre fotografiche presenti nello scenario europeo lungo quest’estate che sta per scemare. Il MAMC+ di Saint-Etienne Métropole presenta “Méta-photographie”, la prima mostra in un museo francese di Thomas Ruff (1958, Zell), fino al 28 agosto. Una bellissima monografia che svela più di quarant’anni di carriera dell’artista tedesco, che tra sperimentazione e inventiva si questiona sul mezzo fotografico per un focus sulla metafotografia. Curata da Alexandre Quoi, capo del dipartimento scientifico del MAMC+, l’esposizione presenta un centinaio di opere che fanno parte di diciassette serie quali: Sterne, Nächte, Substrate, Mar.R.s o Nudes, per una messa in discussione dell’oggettività fotografica. Si va dalle immagini satellitari o digitali, ai negativi analogici o JPEG, ai processi tecnici che le hanno prodotte, per ripercorrere abilmente una storia della fotografia. Si inizia con la serie Bonfils (2021), dal nome del noto studio professionale aperto da Félix Bonfils nel 1867 in Libano, da cui Ruff riprende dei negativi che documentano territori urbani, monumenti e tradizioni del Vicino Oriente. L’artista tedesco li stampa ingranditi senza cancellare né le tracce del tempo tantomeno le iscrizioni sui negativi stessi. Ruff riporta alla luce vecchi procedimenti e immagini anche nelle serie Tripe (2018) e Negative (2014), mentre in Fotogrammi (2012) ne riprende dei vecchi degli anni venti per elaborarli con tecniche attuali come la 3D. In Flower.s – fotogrammi di soggetti botanici di Lou Landauer acquistati da Ruff – adotta la tecnica della solarizzazione, detta Effetto Sabatier (1862), in cui Ruff sovrappone negativo e positivo per stamparli su carta vecchia e danneggiata. Sull’esempio della serie Fotogrammi, anche qui utilizza dei mezzi odierni facendo riferimento a una tecnica di sviluppo antica. Bellissima la serie Ritratti (1981-1991) in cui cattura il volto di amici e conoscenti. Le foto sono sviluppate in un formato grande (210×165 cm.), che si contrappone allo sguardo neutro e privo di dettagli emotivi che rimanda alla fototessera. La creazione fotografica di Thomas Ruff oltrepassa l’interesse accademico e artistico.
Se la foto è scientifica, documentaria o di archivio – vedi il lavoro con i negativi degli archivi dell’Osservatorio europeo meridionale – nella produzione di Ruff acquista un valore e spessore comunicativo fuori dal comune. Il Nuovo Museo Nazionale di Monaco – Villa Sauber accoglie ben 280 fotografie di uno dei più grandi fotografi di moda del XXesimo secolo, ossia Helmut Newton (1921- 2004) nella mostra “Newton, Riviera”, fino al 13 novembre. Il titolo rimanda alla Costa Azzurra dove l’artista ha vissuto dal 1981 fino al 2004, e in particolare alla produzione monegasca con foto di Les Ballets de Monte-Carlo e della famiglia principesca. Questo percorso accattivante è il ritratto di un’epoca restituita qui dai volti di David Bowie (1983), Paloma Picasso (1973) o Luciano Pavarotti (1993), come da una miriade di belle foto di moda, vedi le creazioni di Yves-Saint Laurent (1978) o le copertine di Vogue, o dal festival di Cannes. Newton in questo periodo ha sviluppato la serie Yellow Press, una delle più originali e dal glamour inquietante ispirate alle scene di crimini, su questa scia vedi From Maurizio Cattelan, True or False – a Murder Scene II (1986). Lungo il percorso ritroviamo la ricostruzione del salone dell’appartamento di Montecarlo, che tra l’altro rivela il gusto della coppia June e Helmut Newton per il design, con tanto di lampadario e tappeto di Ettore Sottsass o le lampade di Gae Aulenti. Newton ha ribaltato gli stereotipi, infatti le modelle da lui ritratte sono ribelli, indipendenti e determinate; una vera rivoluzione se si pensa all’immagine pubblicitaria della donna di quel periodo.
La Fondazione Mapfre a Barcellona presenta “Resonancias” fino al 4 settembre, ossia una mostra che indaga in maniera del tutto sperimentale e appassionante immagini di grandi fotografi del passato, per lo più in bianco e nero, in dialogo con quelle di autori contemporanei. Si tratta di un focus nella collezione fotografica della Fondazione, che tra fotografia e post fotografia, mette a confronto un autore classico statunitense con uno odierno. In questo parallelo i due autori, pur differenziandosi per pratica e tecnica artistica, sono accomunati da fili conduttori sempre diversi e imprevedibili. Joan Fontcuberta, curatore dell’esposizione, la definisce come un “gioco di corrispondenze che stabilisce l’armonia tra le diverse opere, favorendo un dialogo tra i rispettivi autori e periodi di produzione”. Troviamo le composizioni labirintiche di Lee Friedlander confrontate alla Random Series di Miguel Ángel Tornero, le scene di strada di Helen Lewitt in dialogo con le Google Street View catturate da Jon Rafman, ma anche le foto di Diane Arbus avvicinate alla serie La parada de los monsters di Juana Gost, o quelle di Robert Adams affiancate alla serie di Paolo Cirio. Senza dimenticare di andare al GAM di Torino che accoglie il noto World Press Photo 2022, facciamo un salto a Malaga, per chiudere questo tour con due video che restituiscono due visioni del paesaggio naturale.
Il Centre Pompidou di Malaga accoglie un’interessante mostra collettiva e multidisciplinare: “Un temps à soi. Se libérer des contraintes du temps”, fino al 15 ottobre. Attraverso sei sezioni il visitatore è invitato a riflettere sul tempo dedicato a se stessi, dalle vacanze, al tempo libero fino all’introspezione, e via dicendo. Laetitia Benat (1971) presenta qui Nearby (video, 28 minuti, 2000), in cui si alternano immagini di paesaggi disabitati e donne sole in interni in situazione di attesa e di noia. Un’opera intimista dove il paesaggio riflette i sentimenti delle persone ritratte. In Memory of Glaciers (video, colori, 10’ 51’’,2017) di Angelika Markul (1977), presentato nello spazio 5 del CAC di Malaga, fino al 23 ottobre, il visitatore è confrontato a una natura non più in sintonia con l’umano ma brutalizzata da questo. La decomposizione dei ghiacciai causata dal cambiamento climatico riflette uno dei soggetti di predilezione dell’artista franco-polacca ossia la natura abbandonata come la memoria di luoghi e il ciclo della vita.