Milano Art Guide ed exibart presentano It’s a Mad, Mad, Mad, Mad World, un atlante della fotografia degli anni 2020, da scoprire ogni settimana su Instagram: il terzo ospite è Teo Giovanni Poggi. Per dare un’occhiata al takeover nelle stories del nostro account instagram, vi basta cliccare qui.
A cosa stai lavorando?
«Ho inaugurato il mio 2020 con la mostra “SAM”, a febbraio; volevo presentare concetti e opere come l’inizio di una ricerca più ampia, per poi poter continuare ad indagare e immaginare sempre più storie e personaggi. Parte della ricerca è sicuramente legato a ciò che crea perdita di controllo e sul conflitto, talvolta violento, da esso generato, osservandone i limiti e le ripercussioni su corpi e oggetti.»
Come trovi ispirazione per il tuo lavoro? E cosa ti ispira di più?
«Questa domanda non mi convince mai fino in fondo o forse è la parola ispirazione che non mi convince mai fino in fondo; Non parlo mai di cose che non conosco e credo che quello che voglio comunicare sia strettamente legato a quello che sono e a quello che potrei essere in relazione al mondo che mi circonda. Osservo le persone, le relazioni tra esseri umani e non, cerco di indagarne le potenzialità e le possibilità. Il mio lavoro si nutre delle mie possibili storie e di quelle degli altri.»
Cosa significa fotografare negli Anni Venti del Duemila?
«A volte appunti visivi e altre volte il linguaggio comunicativo più diretto e immediato, altre volte ancora sovrapproduzione di immagini. Io fotografo le opere mentre si stanno costruendo, mi piace immortalarne gli step intermedi per poi tenermeli per me, come archivio visivo; fotografo però anche tutto quello che potrebbe in quel momento avere a che fare con la ricerca che sto portando avanti. Amo i filtri instagram, in tutto il loro banale, populista e crudele tentativo di restituire una serie di canoni fisici e non. Ultimamente mi diverto a decontestualizzare e ri-contestualizzare le mie opere, quasi a creare dei set che vengano distrutti subito dopo e che vivano unicamente in funzione dell’immagine finale, dandomi così la possibilità di avvicinare a sculture pensate per durare nel tempo materiali e oggetti estemporanei e fragili, aumentandone così le possibilità narrative.»
Il 2020 in una foto?
Nicole Colombo nasce a Monza nel 1991. Attualmente vive e lavora a Milano. Ha inaugurato a febbraio 2020 la sua prima mostra personale dal titolo SAM, a cura di Greta Scarpa, presso BitCorp for Art, Milano. Tra le mostre collettive a cui ha preso parte ricordiamo: SUV a cura di Pane Project presso BSMNT (Leipzig, 2018); First I Have To Put My Face On a cura di Christina Gigliotti presso Like a Little Disaster (Polignano a Mare, 2018); Jollies, presso Officina 500 a cura di Gelateria Sogni di Ghiaccio (Torino, 2017); Paradise on Mars, presso OJ Art Space (Istanbul) a cura di Erdem Çetrez (2017); Kodomo No Hi, presso Sonnenstube, Lugano (2017); Bubble Tea, un progetto a cura di Pane Project, Milano (2016); Academy Awards 2015, presso Viafarini (Milano). Partecipa inoltre a diverse pubblicazioni tra cui The oranges of the Sunrise, in collaborazione con Alberta Romano a cura di Media Naranja (Marseille); The EPC* dove realizza delle illustrazioni per il testo scritto da Alberta Romano a cura di Sink (London); Takecare #2 a cura di Roberta Mansueto.
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