Milano Art Guide ed exibart presentano It’s a Mad, Mad, Mad, Mad World, un atlante della fotografia degli anni 2020, da scoprire ogni settimana su Instagram: l’ospite di questa settimana è Mattia Iotti. Per dare un’occhiata al takeover nelle stories del nostro account instagram, vi basta cliccare qui.
A cosa stai lavorando?
«Il covid ci ha chiusi in gabbia e ci costringe a tracciare nuovi confini sempre più stretti.
Per questo ho iniziato a guardare al mio quartiere,
alla sua struttura ossea e alla sua anima. A ciò che gli fa bene e a ciò che lo ferisce.»
Come trovi ispirazione per il tuo lavoro? E cosa ti ispira di più?
«La fotografia non trova ispirazione da quarant’anni. Ci illudiamo di avere una buona idea per primi ma non è mai cosi. L’spirazione è un regalo riciclato avvolto con un fiocco in una bella carta da pacchi, il che non toglie che faccia piacere riceverlo.»
Cosa significa fotografare negli Anni Venti del Duemila?
«Significa provare ancora a sfruttare un linguaggio per potersi esprimere.
Ci sono quelli che hanno qualcosa da dire e un pubblico che li sta ad ascoltare, quelli che urlano per fasi sentire e poi c’è tutto il resto. Per i primi provo una sana invidia.»
Il 2020 in una foto?
Mattia Iotti è nato nel 1979, come dice lui: “l’anno in cui Sony lancia sul mercato il walkman, i Pink Floyd pubblicano The Wall e nelle sale cinematografiche esce Apocalypse Now”. Dopo un’adolescenza passata in provincia a voler fare il fonico per amore della musica, finisce a Milano a fare il fotografo. La sua attenzione è principalmente rivolta a spazi e oggetti, rarissime volte le persone, “solo se sanno stare immobili”. In parallelo a una personale ricerca sulla fotografia, nella sua carriera Iotti ha collaborato, tra i vari, con Prada, Wallpaper, Nilufar Gallery, Vogue Mexico e la Biennale di Venezia.
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