Alcuni hanno definito la fotografia di Jacob Howard minimalista, altri l’hanno associata all’astrazione geometrica, declinando la fotografia di viaggio di volta in volta in una dimensione artistica diversa, ma nulla di ciò che siamo abituati a vedere in questo genere di reportage riuscirebbe a definire a pieno la poetica del fotografo neozelandese. Quest’ultimo combina nei suoi scatti il dato oggettivo e quello surreale, rivelando il mistero della quotidianità e di luoghi dimenticati. Howard ha una formazione da autodidatta e unisce all’attività di fotografo quella di art director e graphic designer, affascinato dall’ignoto, rivolge il suo sguardo verso il contesto che lo circonda, ispirandosi agli inizi al paesaggio neozelandese. Da qui, infatti, nasce quel bisogno di esplorare una geografia contraddistinta dal silenzio, dall’isolamento e dalla desolazione. A partire dalla sua terra d’origine crea una grammatica visiva che si compone di pochi elementi, in grado però di svelare mondi sconosciuti anche nei luoghi più inaspettati. Nei suoi viaggi rivolge l’obiettivo proprio verso le realtà nascoste in piena vista, scenari ordinari e banali, nei quali riscopre nuove geometrie e nuove storie. La relazione con il territorio resta l’elemento fondamentale dei suoi racconti e dietro ogni scatto c’è uno studio attento della conformazione e della cultura di un luogo; lo stesso fotografo afferma, infatti, «Il mio lavoro fotografico è costruito attorno al viaggio e alla curiosità per l’ignoto. Sono influenzato dal mondo naturale e culturale, strutture enigmatiche, incontri inaspettati e momenti di cambiamento».
Architettura e paesaggio scoprono un nuovo legame, un nuovo modo di parlare e di parlarsi, facendo emerge le assonanze e dissonanze celate a uno sguardo distratto. La simmetria, i colori e il punto di vista modificano l’assetto di un luogo, fissando un momento in cui tutto sembra essere perfettamente in armonia in ogni dettaglio. L’immaginario di Howard viene spesso associato a quello del regista Wes Anderson, con il quale sembra condividere uno stesso approccio all’inquadratura, tuttavia, le fotografie del neozelandese non immortalano una scenografia preimpostata, bensì colgono la singolarità dei non-luoghi. Così frammenti di realtà inosservati e inaspettati prendono vita grazie a un’attenzione al dettaglio che li pone al confine tra metafisico e fantastico. Non c’è alcun tentativo di abbellire o elevare questi luoghi, ma solo rivelarne la bellezza intrinseca.
L’esistenza dimenticata di questi paesaggi rappresenta il fulcro della fotografia di Howard, ogni viaggio svela nuove solitudini, disseminate in tutto il mondo. L’equilibrio tra i vari
elementi che compongono lo scatto è la cifra distintiva del fotografo neozelandese: paesaggio, edifici, passanti si distribuiscono nello spazio dell’inquadratura con un bilanciamento che sfiora la perfezione, mentre i dettagli cromatici rendono ogni fotografia densa di risonanze e sfumature.
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