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La fotografia italiana secondo Filippo Maggia
Fotografia
Grazie alla Fondazione OELLE-Mediterraneo antico di Aci Castello (Catania), il 21 febbraio tra il capoluogo etneo e Taormina prenderà il via l’anno dedicato dalla Fondazione alla fotografia d’arte: mostre (“GE/19 Boiling Projects da Guarene all’Etna”, la retrospettiva su Gabriele Basilico, ecc.), forum, workshop, incontri, con il coinvolgimento di alcuni degli autori della scena nazionale e internazionale, dai fotografi maestri indiscussi agli artisti emergenti più interessanti delle ultime generazioni. Tra i protagonisti delle prime giornate c’è Filippo Maggia, che abbiamo intervistato per fare il punto in anteprima dello stato dell’arte della fotografia italiana contemporanea.
Negli ultimi vent’anni la fotografia in Italia quali strade ha percorso?
«Molte e sovente non ben definite. Dall’avvento del digitale innanzi, l’utilizzo del mezzo fotografico è aumentato in maniera esponenziale, spesso con poca consapevolezza e scarsa conoscenza della storia del mezzo, della sua pratica, dei suoi interpreti. Meglio parlare di immagini, e in questo caso, davvero, le strade sono tantissime».
In Italia manca una forma istituzionale di sistema idonea a sostenere e promuovere la fotografia, da noi come fuori dei confini nazionali. Perché questa lacuna, questo disinteresse?
«Il nostro Paese fatica molto a conservare quanto possiede e a valorizzarlo, dall’antichità al contemporaneo. Sono stati necessari molti anni, l’Arte Povera e la Transavanguardia, importanti critici e curatori di livello internazionale perché l’arte contemporanea trovasse una sua precisa collocazione, visibilità e, di conseguenza, fosse meritevole di sostegno. Inoltre, a differenza di questa, della moda o del design, la fotografia non è particolarmente glamour, non produce profitti tangibili e, di conseguenza, viene accostata come una sorella minore ad altre discipline del contemporaneo, senza un proprio spazio. L’esatto opposto di quanto avviene all’estero».
Perché la fotografia è pressoché assente dai musei di arte moderna e contemporanea e dalle collezioni pubbliche?
«È una domanda che dovrebbe porre ai direttori di quelle istituzioni e non a me. Per quanto mi riguarda, nei 10 anni in cui ho diretto Fondazione Fotografia Modena, 2007-2017, fino a quando è stato possibile abbiamo acquistato opere per le due collezioni di fotografia contemporanea, italiana e internazionale. L’elenco degli artisti in collezione è consultabile online. Sicuramente è la più importante collezione di fotografia contemporanea in Italia e un grande patrimonio per la città e per quanti desiderino studiarla. Non lo dico io, fra gli altri l’ha riportato con enfasi qualche anno fa il magazine The New Yorker, come un fosse un’oasi nel deserto italiano della fotografia. Ma è una collezione di proprietà di un ente privato. Recentemente la GNAM ha però acquistato alcune opere di Gabriele Basilico, e questo mi sembra un segnale importante».
C’è qualche istituzione nostrana che, a suo avviso, patrocina la fotografia al pari delle altre discipline?
«No».
Nonostante ciò, la fotografia italiana mi sembra ancora pervasa da un’insospettabile vitalità. Cosa ne pensa?
«In linea generale sono abbastanza d’accordo. Ma è necessario distinguere cosa vogliamo intendere con fotografia e cosa riteniamo sia invece produzione di immagini, più in generale “comunicazione”. Credo sia necessario ripartire da lì e immaginare dei confini, non tanto per definire cosa abbiamo sotto gli occhi, quanto il percorso, la pratica e dunque il senso di un’operazione creativa».
Parliamo della formazione. Qual è lo stato di salute dei corsi di fotografia all’interno di accademie e istituti d’arte?
«La sua domanda capita a proposito a questo punto della conversazione. La formazione è l’ambito cui delegare le risposte a quanto sopra detto. Oggi in Italia è impressionante la quantità di corsi e di master dedicati al linguaggio fotografico. E ancora più significativa è l’alta risposta, e dunque i profitti che questo interesse genera. Per contro, a testimoniare come la quantità non corrisponde quasi mai alla qualità, i risultati sono in generale assai scadenti. Nelle accademie e negli istituti d’arte, salvo rarissime eccezioni dovute al responsabile impegno e coinvolgimento di qualche docente, la fotografia è da sempre ai margini. Qualcosa di meglio si è visto negli anni passati in ambito privato. In questo momento non consiglierei a nessun giovane di iscriversi in Italia, vedo programmi didattici molto confusi e pasticciati, pensati solo per attrarre pubblico».
Qual è la mostra di fotografia in Italia e quale quella all’estero che più l’hanno interessata nell’ultimo anno?
«In Italia la personale di Barbara Probst dalla De Cardenas e la selezione di opere di Soham Gupta alla Biennale di Venezia. All’estero il lavoro Lost Territories del collettivo Sputnik Photos».
Pensa che i privati, dai galleristi ai collezionisti ai titolari di fondazioni, rappresentino un’alternativa al disinteresse istituzionale verso la fotografia italiana? Nell’ambito dei privati, quali sono quelli che a suo avviso eccellono nella promozione della nostra fotografia contemporanea?
«Il privato, sia esso fondazione, galleria o collezionista, recita un ruolo fondamentale per la fotografia in Italia. Fondazione Sandretto Re Rebaudengo dalla metà degli anni Novanta a oggi, Fondazione Fotografia Modena sino a quando non è stata assorbita dalla nuova Fondazione Modena Arti Visive, Fondazione Mast di Bologna sono sicuramente tre esempi virtuosi, specialmente per il sostegno che hanno dato e ancora offrono, Sandretto in particolare, ai giovani artisti».
Tre richieste che farebbe al Ministro dei beni culturali?
«Se non una direzione generale, istituire almeno un dipartimento di fotografia con personalità di comprovata esperienza e competenza; avviare una politica di acquisizioni di opere di fotografi italiani da collocare nei musei di arte moderna e contemporanea; promuovere un’importante mostra di fotografia italiana da esportare (e qualcosa in tal senso era già stato avviato)».
Tre richieste che farebbe al Ministro della ricerca e dell’università?
«Una sola: riprendere e portare a compimento il progetto per la costituzione di un centro nazionale di ricerca per la fotografia, a suo tempo sviluppato dal Comune di Follonica con Regione Toscana, da realizzarsi nell’area dell’ex ILVA. Un progetto formativo innovativo di cui la fotografia italiana ha urgente necessità».