La mostra Spectacular: Un’esplorazione della luce riunisce per la prima volta un’ampia selezione di fotografie di Vera Lutter (Kaiserslautern, 1960) sui temi dell’industria, del lavoro e delle infrastrutture per la movimentazione: 20 fotografie e un’installazione dell’artista tedesca sono in esposizione al MAST a Bologna, nella personale curata da Francesco Zanot.
La luce e l’approccio scultoreo sono due elementi che, insieme, si rivelano imprescindibili per le opere di Vera Lutter. Certamente, si parla di luce perché ci si trova nel campo della fotografia, il linguaggio prediletto dall’artista, sebbene applicato attraverso una pratica inconsueta. Nelle sue immagini, la luce è protagonista in quanto, tramite soluzione in negativo, risalta sulle forme immortalate in mezzo alla profonda oscurità del nero circostante in un processo di inversione di ombre e luci. Lutter fotografa con camera oscura a foro stenopeico ma anche questa fase di creazione ha dell’inedito, per quanto faccia risuonare i primordiali metodi della fotografia.
Vi è, infatti, un complesso lavoro di preparazione della camera ottica da parte di Lutter, che si appropria di container o di strutture appositamente create (come cabinet in legno) per abitarli, entrarvi fisicamente e aprire alla luce uno spazio in cui agire. Un congegno creato in scala umana per produrre considerevoli immagini in negativo bianco e nero, irriproducibili e non invertibili. Questo approccio quasi performativo di introdurre il proprio corpo nella scatola generatrice fa del suo un lavoro a metà strada fra scultura e fotografia.
Lutter si interpone in prima persona fra il soggetto prescelto e la camera ottica realizzata in misure e grandezze – anche quelle del foro – di volta in volta adattate al raggio di interesse. Manipola e dirige così l’azione della luce in tempi di posa che vanno da ore a giorni a settimane, comunque sempre vincolati alle naturali condizioni di luce. E, soprattutto, la sua pratica fotografica prevede il fare, costruire e trasformare la materia per produrre, solo in ultima fase, un oggetto-fotografia in cui l’immagine si confonde e aderisce al supporto sui cui è stata impressa.
Dopo una iniziale formazione in scultura presso l’Accademia di Monaco, è così che ha preso avvio la sua pratica fotografica, nella prima camera da letto/studio di New York trasformata in camera stenopeica gigante. Da allora, oltre che abitabile, la camera ottica è diventata anche mobile. Inizialmente, il dispositivo diveniva tale attraverso un setting creato dall’artista su una stanza preesistente: oscurava la camera, realizzava un piccolo foro su finestra e poneva un foglio di carta fotosensibile sulla parete opposta per imprimere l’immagine dell’esterno. In seguito questa operazione si sviluppa con la costruzione ex novo della camera ottica stenopeica per porla davanti ai soggetti selezionati.
Questi ultimi rispecchiano un carattere peculiare del lavoro di Lutter che è solita approcciare un tipo di figure che possono essere collocate nella sfera industriale: abnormi strutture potenziate volte a un fine produttivo, di esplorazione scientifica o di trasporto.
Portando avanti questa tematica da diversi anni, Lutter fa il calco – nel senso di riprodurre il calco di una forma, traducendola in negativo per ottenerne non la copia bensì l’essenza – di strutture e architetture monumentali fra le più notevoli al mondo (il dirigibile Zeppelin, la Battersea Power Station di Londra, solo per citarne un paio).
«Come questi luoghi e questi oggetti, le sue opere sono grandi imprese. E come loro non sono semplicemente visibili, ma sono il frutto di una visione. L’interesse di Vera Lutter per le industrie e le grandi infrastrutture si radica in un fondamentale rapporto di continuità che esiste fra questi oggetti e la sua pratica», scrive Zanot nel testo per il catalogo della mostra a Bologna.
Spettrali oggetti si stagliano maestosi in visioni apparentemente oniriche dove non è contemplata la presenza di vita umana perché il tempo – di posa – l’ha sottratta in favore del pervasivo industriale. Il tempo e lo spazio d’altronde sono sì preponderanti, ma rimangono indefiniti con il risultato di evocazione e non di documentazione. Il negativo che sottende la pratica dell’artista tedesca mostra ciò che solitamente viene nascosto, tenuto in archivio e preservato.
Vi è allora un superamento di tale tendenza che porta ad enfatizzare piuttosto il carattere della fotografia: far emergere il non visibile. La permanenza di imponenti costruzioni aliene ci offre un’ambigua visione di insieme che inverte il dato reale per mettere in discussione il lascito umano.
La mostra di Vera Lutter sarà visitabile al MAST di Bologna fino al 6 gennaio 2025.
Presentato il programma di mostre del 2025 negli spazi del Comune di Milano: dai maestri della fotografia al surrealismo, aspettando…
£ 5-8 milioni di stima per il doppio Allosaurus e £ 3-5 milioni per lo scheletro di Stegosaurus. Risultato finale…
Nel suo nuovo saggio, l’artista Elena Ketra ripercorre la storia della Sologamia, rivoluzionando il concetto di matrimonio e proponendo nuove…
Enrico Maria Artale ci parla del suo percorso registico, dagli esordi ronconiani al successo a Venezia, fino alle serie, per…
Rafael Spregelburd rielabora il mito di Cassandra con ironia e un tocco di surrealismo, in una pièce che intreccia tragedia…
Progetto trasforma un antico palazzo barocco di Lecce in uno spazio per l’arte contemporanea e la sperimentazione, tra residenze e…