«Helmut Newton è una figura difficile da inquadrare. La maggior parte di noi crede di conoscere il suo lavoro, almeno nei suoi aspetti più importanti. Ma l’opera del fotografo tedesco-australiano è così prestigiosa ed emblematica che qualunque analisi sistematica con qualche pretesa di esaustività è destinata a fallire.», così lo descrive Matthias Harder curatore della mostra e direttore della Helmut Newton Foundation.
Elegante decadenza e sottile provocazione. Una mostra che fin dal titolo evoca l’immensa eredità lasciata ai posteri dall’artista che si potrà ripercorrere, passo dopo passo, nello spazio dell’Isola di San Giorgio Maggiore.
Una carriera, quella di Helmut Newton, che non può che renderlo uno dei protagonisti della fotografia del Novecento, capace di lasciare un segno nella moda come dimostrano le collaborazioni con la rivista Vogue e con stilisti come Yves Saint Laurent, Karl Lagerfeld, Anna Molinari (Blumarine), Thierry Mugler e Chanel – ma anche nel nuovo modo di approcciarsi al nudo femminile, testimoniato nel suo celebre Big Nudes.
«Bisogna essere sempre all’altezza della propria cattiva reputazione. A pronunciare questa frase non è stato uno dei bad boys di Cry Baby, il film culto di John Waters. Sono, invece, parole di un altro cattivo ragazzo, il provocatore per eccellenza della fotografia mondiale: Helmut Newton.», scrive nel catalogo Denis Curti, curatore della mostre e direttore artistico de Le Stanze della Fotografia.
Stile elegante e audacia, una vita borderline che viene ancora più enfatizzata a Venezia, dove i suoi scatti sono sospesi tra terra e cielo, «Il suo passaggio in Laguna è documentato più volte, come si potrà vedere nella mostra nel servizio per Queen nel 1966 o nel ritratto ad Anselm Kiefer, immortalato in un affascinante palazzo sul Canal Grande o, ancora nel servizio che fece per Yves Saint Laurent che ha per sfondo proprio l’isola di San Giorgio Maggiore» racconta Matthias Harder.
Un omaggio, al suo genio, la sua familiarità con la macchina fotografica è evidente già a 12 anni quando è attratto da quell’oggetto capace di immortalare il mondo. A 16 lo troviamo a lavorare come apprendista dalla famosa fotografa Yva dove inizierà a sperimentarsi con gli autoritratti e a gettare le basi per quello che poi sarà il suo stile.
Ma qual è la sua più grande innovazione? quella di introdurre nelle foto di moda lo story telling. In quasi tutte le sue foto il servizio di moda diventa infatti una storia e la storia è un pretesto per raccontare gli abiti, ma non solo. Le sue storie diventano irresistibili perché sono sempre avvolte da un alone di mistero, a volte perché evocano le atmosfere del cinema, altre perché rimandano alla pittura di artisti come Velázquez, Goya o Magritte e altre perché ispirate alla sua passione per la cronaca nera.
«Nella mostra veneziana è ancora più evidente il metodo Newton» spiega Denis Curti. «Lui realizzava i lavori per i suoi committenti, ma poi agli stessi lavori dedicava uno spazio di sperimentazione personale. Nascono così moltissimi dei suoi shooting che diventeranno storia e che si possono ammirare nel percorso».
L’eredità di Newton sarà raccontata a Venezia in sei capitoli cronologici: gli esordi degli anni Quaranta e Cinquanta in Australia, gli anni Sessanta in Francia, gli anni Settanta Francia e Stati Uniti, gli Ottanta tra la Costa Azzurra e la California fino ai numerosi servizi in giro per il mondo degli anni Novanta.
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