<<Penso che un fotografo che sia realmente tale non possa essere che uno scrittore che si esprime per immagini>>. Con queste parole Enzo Sellerio si esprimeva circa il rapporto della fotografia con la realtà. Quella che a lui interessa è la realtà quotidiana, concreta, vissuta dalle persone comuni, pure se immerse in un contesto di pieno fermento culturale o che, ahimè, si trovano catapultate al centro di vicende di cronaca e sociali profondamente drammatiche. Ma l’accento cade sulla capacità narrativa, sul racconto che si snoda non attraverso le parole e il discorso, ma per mezzo delle immagini. La frase di Sellerio è una di quelle scelte da Valentina Greco, curatrice della mostra ora in corso alla Fondazione Merz di Torino, a controcanto delle immagini esposte nella mostra che ha inaugurato lo scorso 17 aprile. “Palermo mon amour”, questo il titolo della mostra realizzata in collaborazione con il Centro Internazionale di Fotografia Letizia Battaglia, l’Archivio Letizia Battaglia e l’Archivio Enzo Sellerio. Il titolo evoca, parafrasandolo, quello del noto film di Resnais.
L’evento espositivo è piuttosto inconsueto rispetto all’abituale programmazione della sede che lo ospita. La mostra è infatti dedicata alla fotografia e in particolare all’opera di quattro fotografi siciliani: Letizia Battaglia, Enzo Sellerio, Franco Zecchin, Fabio Sgroi e Lia Pasqualino. Il percorso espositivo consta di più di ottanta foto in bianco e nero ed è completato da alcuni video, proiezioni di immagini e un paio di cortometraggi di Ciprí e Maresco. Tema della mostra è la Palermo del periodo che va dal 1950 al 1992. Si tratta di anni intensi, intessuti di vicende drammatiche, fatti di cronaca e di mafia, lotte, grandi processi e altre vicende che hanno segnato profondamente la storia del nostro Paese e il vissuto della città di Palermo. Tuttavia, come emerge dalla mostra, contestualmente ai tragici fatti di cronaca, in quel periodo la città conosceva un grande fermento culturale e una sontuosa ricerca nell’ambito dell’arte e della fotografia. Le immagini in mostra costituiscono una testimonianza plastica di questo fermento. Tra stralci di vita quotidiana e popolare, fino ai grandi eventi cinematografici e teatrali, esse rendono conto di un periodo storico decisamente ricco e di cui ancora molto abbiamo da comprendere.
Il percorso espositivo è poi corredato da una serie di testimonianze parole di poeti e scrittori, copie originali di riviste storiche. Ma protagonista è senza dubbio la fotografia in bianco e nero, la quale ha la caratteristica preziosissima di creare come un filtro poetico tra chi guarda l’immagine e i soggetti ritratti. Ci troviamo così immersi in un mondo in cui luce e ombre scolpiscono i soggetti e i luoghi dando loro una connotazione fortemente simbolica, che travalica la mera testimonianza visiva dei fatti e si fa narrazione a tutto tondo. Molte delle foto in mostra furono, infatti, originariamente scattate per giornali di cronaca nera.
Tuttavia la capacità espressiva e bellezza formale che caratterizza queste immagini, fa loro compiere come un passo oltre, rendendole un’occasione per la rielaborazione culturale e consapevole dei vissuti che la città di Palermo ha attraversato nel corso del travagliato periodo storico nei meandri del quale la mostra ci conduce. Come si è detto, è abbastanza raro vedere alla Fondazione Merz di Torino una mostra di fotografia nel senso così letterale del termine. Eppure queste immagini hanno una vitalità e una forza che nulla ha da invidiare alle ricerche contemporanee più elaborate e ambiziose nell’ambito delle arti visive e performative, oltre a una spiccata capacità narrativa. La fotografia si fa, qui, stimolo per l’immaginazione, intesa come capacità di raccontare, come voleva Sellerio, ripensare, e quindi fare nostro, un pezzo di storia italiana particolarmente drammatica, le cui conseguenze ancora interessano le cronache di oggi.
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