Talmente diversi da incontrarsi. E non poteva essere che questo abusato luogo comune sulla convergenza degli opposti, a descrivere il dialogo tra due acutissimi narratori visivi dell’orizzonte quotidiano come Martin Parr e Henri Cartier-Bresson. Pazienti cesellatori del tempo consueto, in grado di cogliere la splendente, fulminea genialità di ciò che di banale attraversa i nostri spazi, Parr e Cartier-Bresson rappresentano due apici dell’espressione fotografica, tra bianco, nero e colori alla massima potenza. Le loro ricerche sono in dialogo, anzi, in “Réconciliation”, nel nuovo spazio della Fondation HCB di Parigi, istituzione fondata nel 2003 per preservare il lavoro di Cartier-Bresson e di Martine Franck (i due si sposarono nel 1970).
Riconciliazione perché la distanza tra i due è sempre stata esplicita, «Due sistemi solari lontani», così Cartier-Bresson definiva le loro visioni, che crearono anche attriti. Come quando Martin Parr, nel 1989, volle entrare nella Magnum Photos, fondata nel 1947, tra gli altri, da Robert Capa, David Seymour e dallo stesso Henri Cartier-Bresson, che non gradiva affatto la prospettiva di includere, nella prestigiosa agenzia, il rampante fotografo della middle class in spiaggia e si oppose fermamente. Ma, dopo aver ammesso le loro idee opposte, i due riuscirono a trovare la possibilità di una riconciliazione: Parr entrò a far parte della Magnum nel 1994 e dal 2014 al 2017, ormai entrato stabilmente nell’Olimpo della fotografia, ne divenne anche Presidente.
Da un lato, il sesto senso di Parr nel cogliere le piccole eccentricità degli individui, in particolare quando questi diventano gruppi più o meno disorganizzati, dai tifosi in visibilio allo stadio ai bagnanti sulle spiagge italiane, tra sandali e calzini, pose da cartolina e membra rilassate. Dall’altro, semplicemente “l’occhio del secolo” di Cartier-Bresson, pioniere di una fotografia umanista in bianco e nero ma dalle forti tinte sociali, sempre scandita dall’eleganza formale del momento di equilibrio: biciclette, salti, ombre.
Curata da François Hébel, direttore della Fondation HCB, in collaborazione con la Martin Parr Foundation di Bristol, la mostra “Réconciliation” prende le mosse non solo da suggestioni ma anche da un cortocircuito storico. Nel 1962, Henri Cartier-Bresson accettò un incarico dalla televisione britannica ITV/ABC per realizzare un documentario sul nord dell’Inghilterra. Trasmesso una sola volta e portato alla luce dalla Cinémathèque Française nel 2021, dal film “Stop laughing – This is England” emergono immagini prima sconosciute, inaspettate, che restituiscono un divertente ritratto degli inglesi al lavoro e nel tempo libero. Un soggetto che sarebbe stato poi ripreso e portato alla sua massima espressione proprio da Parr, diversi anni dopo, in particolare in “The Last Resort”, progetto del 1986, dedicato alle vacanze inglesi sulle spiagge di New Brighton, località balneare nel Merseyside, non distante da Liverpool.
L’esposizione di Parigi, dunque, chiude un cerchio, incrocia vedute sulla società in epoche diverse e presenta un dialogo tra le stampe originali di Cartier-Bresson che furono usate per il documentario (anch’esso in mostra) e le immagini di Martin Parr tratte da “The Last Resort” e da “Black Country Stories”, un lavoro realizzato tra il 2009 e il 2010, che vede il fotografo tornare sui suoi passi, nel nord dell’Inghilterra, per (ri)scattare fotografie degli inglesi al lavoro e al gioco. Perché «L’Inghilterra è il posto più esotico del mondo», come diceva Cartier-Bresson.
Nato a Chanteloup, Seine-et-Marne, nel 1908, Henri Cartier-Bresson iniziò a studiare pittura presso l’atelier di André Lhote a Parigi, prima di dedicarsi alla fotografia. Nel 1931, dopo un anno in Africa, acquistò la sua prima Leica. Il suo lavoro è stato esposto e pubblicato, prima all’estero e poi in Francia, a partire dal 1933. Ha poi viaggiato in Europa, in Messico e negli Stati Uniti.
Interessato al cinema, ha collaborato con Jean Renoir nel 1936 e nel 1939 e nello stesso periodo ha prodotto tre documentari sulla guerra civile spagnola. Fatto prigioniero il 23 giugno 1940, riuscì a fuggire nel 1943, dopo due tentativi falliti. Il Museum of Modern Art – MoMA di New York ha presentato una mostra del suo lavoro nel 1947, lo stesso anno in cui Cartier-Bresson fondò l’agenzia Magnum Photos.
Dopo aver trascorso tre anni in Oriente, tornò in Europa e pubblicò il suo primo libro, “Images à la Sauvette” (The Decisive Moment), nel 1952. Successivamente, viaggiò in numerose occasioni e si dedicò anche al disegno, a partire dai primi anni ’70. Soprannominato “l’œil du siècle”, l’occhio del secolo, Cartier‑Bresson è stato testimone dei grandi eventi del XX secolo, dai funerali di Gandhi in India, agli ultimi giorni del Kuomintang in Cina, fino alle prime fotografie dell’URSS dopo la morte di Stalin.
Alla sua scomparsa, nel 2004, ha donato alla storia della fotografia un patrimonio inimitabile, tuttora soggetto a nuove interpretazioni.
Nato a Epsom, Regno Unito, nel 1952, Martin Parr è uno dei più noti fotografi documentaristi della sua generazione. Con oltre 100 libri pubblicati, la sua eredità fotografica è già consolidata. Ha curato due festival di fotografia, ad Arles nel 2004 e la Brighton Biennial nel 2010. Più recentemente, ha curato una mostra al Barbican di Londra, “Strange and Familiar”. Nel 2013 Parr è stato nominato visiting professor di fotografia presso l’Università dell’Ulster. Il suo lavoro è nelle collezioni dei principali musei in tutto il mondo, come la Tate di Londra, il Centre Pompidou di Parigi e il MoMA di New York. Martin Parr ha fondato la Martin Parr Foundation nel 2017. Nel 2019, la National Portrait Gallery di Londra ha tenuto un’importante mostra del suo lavoro, intitolata “Only Human”.
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