Dalle indagini sugli altri e le loro emozioni a quella su se stessa e il suo passato. Con Greytree and Heavensea, Loredana Nemes lascia i temi che ha affrontato nei suoi lavori precedenti – identità, genere, differenze culturali – per addentrarsi nella sua lettura sentimentale della natura. «Le foreste sull’isola di Rügen (la più grande isola della Germania, nel mar Baltico) sono simili ai Carpazi da dove vengo e dove andavo con la mia famiglia di origine prima che fuggisse dalla Romania di Ceausesco per andare in Germania. Questo lavoro al Parco Nazionale di Jasmund è una terra di faggi lasciata alla spalle».
Sono alberi riemersi dai ricordi d’infanzia. Collocati fuori dal tempo. E le infinite sfumature nelle sue fotografie in bianco e nero, con moltissimi grigi ne restituiscono l’evanescenza della memoria. «Alberi grigi che mi conoscono, a Sassnitz, un mare al confine della foresta. Non può spezzarmi». Così la fotografa e artista rumena – ma berlinese d’adozione – commenta questo suo ultimo lavoro durato dal 2019 al 2023, in mostra (insieme con quello sull’avidità) alla galleria Podbielski a Milano, fino al 10 febbraio 2024.
«Quando ho camminato in queste foreste, quindi sono riemerse molte emozioni. Quando vai più volte in un luogo la percezione è sempre più profonda. È un lavoro che ho svolto a tappe, spesso trascorrevo il week end nel silenzio». E cosi sono arrivati gli scatti della foresta di faggi, le sue radure, le vedute del mare nel ciclo delle quattro stagioni. «È importante descrivere “tutto il cerchio», spiega. Anche l’allestimento segue una circolarità che ricorda quelle delle quattro tappe dell’anno. All’apparenza sembrano foreste impenetrabili, per la percezione del silenzio e del mistero che deriva dall’essere fuori dal preciso dato di realtà. Gli alberi diventano abitanti di altri mondi. Concettuali ed emotivamente sensibili.
«Sono sempre interessata alle combinazioni tra gli alberi e le loro relazioni. Qui inoltre mi è stata permessa la connessione con lo spazio e il silenzio ed è il focus di questo lavoro». Sono boschi sul mare che emerge frammentato tra i tronchi e in scatti di orizzonti. Impossibile quindi non pensare a Hiroshi Sugimoto e al suo rapporto tra cielo e mare. «Certo. Mi sono fatta domande sul suo modo di fotografare il mare. Io ho fatto molti tentativi di fotografarlo. Il mare cambia sempre e ho voluto vedere cosa rifletteva in me. Un mare che respinge la luce e conosce tutti i grigi». Ma gli alberi dominano come amici, «Come le mani di mia nonna».
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