Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Gassi.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«L’arte da sempre mi è servita come filtro per dare un’altra forma al mio privato, la uso ancora come strumento per offrire e guidare una lettura di mondi intimi. Uso, ad esempio, l’autoritratto perché mi piace giocare con la percezione della mia identità, spettacolarizzandone aspetti contrastanti e apparentemente distanti tra loro: smalti e trucco liberano la mia queerness e coesistono con lati più cupi di me, tristezze e dualità».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Ho utilizzato la macchina fotografica come principale mezzo espressivo per diversi anni, occupandomi di vari temi tra cui l’ecosistema della macchia mediterranea e il rapporto uomo natura. A questo proposito la residenza artistica che ho svolto nel 2021 in Puglia, presso Lamia Santolina, con l’artista visivo Cosimo Terlizzi, ha proprio segnato il mio immaginario. In seguito, ho rappresentato a lungo il corpo umano con l’obiettivo di rinegoziare l’identità dei corpi maschili, liberandoli da sovrastrutture sociali e pregiudizi legati alla sessualità.
Con il mio percorso accademico, ho iniziato poi a esplorare diverse possibilità nell’intersezione tra arte e nuove tecnologie, concentrandomi soprattutto sul rapporto tra fotografia e intelligenza artificiale. Mi sto anche formando come curatore: ho chiuso da poco un corso di alta formazione al Maxxi di Roma. Sono direttore creativo del progetto musicale di Marco Caricola, artista e producer pugliese… non cerco quindi di chiudermi all’interno di un’identità precisa. Mi sento libero di sperimentare con media e attività diverse e voglio contribuire con le mie idee su progetti di altri creativi».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Curo molto la mia immagine pubblica, comunicando attraverso i social media il mio lavoro di artista e curatore, ma non mi interesso troppo di come questa cura si traduca nell’idea che gli altri si fanno di me. Invece sono fondamentali per me le relazioni sociali e quotidiane che coltivo qui in Puglia: la mia famiglia, i miei amici e i miei colleghi. Forse sono loro che definiscono la mia identità».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Aver avuto occasione di lavorare con artisti contemporanei come Jacopo Benassi ma anche aver studiato Klimt o Burri ha influenzato il mio interesse per le texture e la matericità dei corpi. La rappresentazione oggi viaggia con velocità differenti rispetto al passato. Le nuove tecnologie hanno creato nuovi accessi all’espressione di idee, a possibilità di riflessione, ma chiaramente sto dicendo banalità. La rappresentazione mantiene ancora un potere infinito, ci apre a nuovi interrogativi, ci fa riflettere, ci connette con gli altri. Guardo alle immagini come un modo per indagare la mia esperienza e questo oggi riguarda anche il virtuale e una nuova materialità. Continuerò a pensare a questa domanda».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Dipende dai giorni (rido). È chiaro che la parola “artista” si porta dietro un’aura ingombrante. Posso e voglio crescere ancora tanto e per questo motivo guardo all’essere artista come un obiettivo. Sento che la mia pratica è strettamente legata alla mia vita sociale e intima. Cerco con le mie opere una sintesi precisa di come il mio privato confluisce nel pubblico».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Sognavo di fare l’attore».
Francesco Paolo Gassi (Bari, 1999) è un fotografo e direttore creativo pugliese, laureato in Nuove tecnologie dell’Arte. Da adolescente utilizza la fotografia come fuga dalla monotonia delle giornate trascorse nel piccolo paese pugliese dove è cresciuto. Nel 2019 lavora con Jacopo Benassi nel suo studio a La Spezia e espone il suo primo progetto who died at sea a Les Rencontres d’Arles. Seguono altre esposizioni in Europa: l’ultima a gennaio 2023 curata da Benedicte Blondeau presso 254Forest a Bruxelles.
Ha presentato il suo libro Seconda Natura a SprintMilano nel 2021, prodotto durante la residenza artistica a Lamia Santolina e risultato degli studi sull’ecosistema della macchia mediterranea e il rapporto uomo-natura. A maggio 2023 ha presentato un progetto editoriale collettivo in collaborazione con Fotografia Europea all’interno del programma 1825. A giugno 2023 il suo progetto Bodies è stato inserito nell’edizione 2023 di QUEER PANDÈMIA. Contaminazioni artistiche di altro genere, edito da TlonEdizioni.
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